lunedì, febbraio 28, 2005

Beirut in festa!

Beirut in festa dopo l'annuncio delle dimissione del premier filo-siriano Omar Karami. Per Capezzone "è un momento potenzialmente straordinario nella storia dell'umanità, non solo del Medio Oriente".

"Iraq - la guerra continua" di Bernard Lewis

E' uscito il nuovo libro di Bernard Lewis, pubblicato da Rubbettino.
Dalla quarta di copertina:
"[...] È certamente difficile prevedere come si risolverà la sfida della democratizzazione dell'Iraq. A far luce sui suoi aspetti problematici, sul bilancio di Iraqi Freedom e sulla più importante questione oggi al centro del dibattito internazionale - quella del terrorismo, dello scontro di civiltà e della convivenza possibile tra Cristianesimo, Islam e democrazia - è ancora una volta Bernard Lewis, massimo esperto dell'Islam e protagonista, da intellettuale e accademico, degli avvenimenti che fanno l'oggetto di questo suo nuovo libro."

Renosubject - marzo 2005

Caro Luca...
Caro Christian...

Più liberi, più ricchi!

Articolo di Marco Respinti su Il Domenicale del 26/2/2005

Era inevitabile che accadesse...

- lettera di Yasha Reibman a Segio Romano (Corriere della Sera del 26/2/2005)

Caro Romano, molti di noi stanno assistendo con crescente preoccupazione a quella che inizia a sembrarci da parte sua una vera e propria aggressione. Nei soli ultimi quattro giorni lei ha colpito due volte. Lunedì ha paragonato Israele ai terroristi libanesi di Hezbollah, mentre giovedì ha riproposto la tesi della particolare presenza di ebrei nei centri di potere e «il potere, ahimé, suscita sempre gelosia, dispetto, antipatia». [continua a leggere cliccando su "leggi tutto!"]
Che dire? Dispiace dover ricordare che gli ebrei, come tutti gli altri cittadini quando vivono in Paesi liberi e democratici, lavorano, scrivono, fanno affari, studiano o insegnano. Alcuni hanno successo, altri meno. Chi odia i giudei prova a cercarli nelle banche, nelle università, nei giornali e fa notare al mondo la loro presenza. Riaccende così l'antico pregiudizio del complotto, del potere occulto, della lobby. Pregiudizio che tutti conosciamo, che tutti in Europa e nel mondo arabo abbiamo ricevuto in eredità e che è quindi pronto a riattivarsi. Con questa convinzione, di una particolare presenza ebraica nei gangli del potere, gli antisemiti hanno spesso giustificato i propri sentimenti nei confronti degli ebrei. Il problema non è allora se il direttore di una banca o di un telegiornale sia ebreo, ma che qualcuno trovi che questo sia importante, che vada controllato e, nel caso, «denunciato» alla pubblica opinione. Il problema non è se Israele abbia o no in questi anni compiuto degli errori, magari drammatici, ma l'utilizzo di espedienti retorici per mettere sullo stesso piano i terroristi e la democrazia di Gerusalemme, l'unica società aperta in Medio Oriente. Colpisce poi la scelta di tempo; proprio quando maggiori sembrano essere le speranze di pace, lei decide di proporre ai lettori questo offensivo e falso confronto. A dire la verità, quanti di noi hanno potuto seguirla negli ultimi anni non sono sorpresi, ma ricordano la sua «Lettera a un amico ebreo» pubblicata qualche anno fa. Ricordano ad esempio che l'Halachà, la Legge rabbinica, fu da lei definita come «la dittatura delle fastidiose regole ebraiche, un catechismo fossile di una delle più antiche, controverse e retrograde fedi religiose mai praticate in Occidente». Ricordano anche che per lei «la memoria delle umiliazioni subite ed un senso di superiorità intellettuale hanno creato una nazione bellicosa, imperialista, arrogante, e, come disse De Gaulle nel 1967, "dominatrice" ... L'israeliano è l'Ubermensch (il superuomo) del Vicino Oriente». Parole che fanno pensare a un paragone tra israeliani e nazisti e che fanno tornare alla mente Primo Levi: «confondere (gli assassini) con le loro vittime è una malattia morale oppure un modo affettatamente estetico o un morboso segno di complicità; e soprattutto è un servizio gratuito offerto (lo si voglia o no) ai negatori della verità». Sarò sincero con lei, non sarebbe un buon segno se alle sue parole reagissimo solo noi ebrei e non altre voci della società italiana.
Yasha Reibman - portavoce Comunità ebraica, Milano

Le lascio la parola. È giusto che questa volta tocchi a lei anche perché avrò altre occasioni di risponderle. Vorrei soltanto che lei mandasse la sua lettera a Jean Daniel. (Sergio Romano)
F.

L'Assessore alla Pace!

Apprendo con stupore dall'Elena che nel comune di San Giacomo delle Segnate (MN) c'è l'Assessore alla Pace!!! Ma che fa un Assessore alla Pace? Ma perchè il governo non comincia a tagliare seriamente gli stanziamenti ai comuni... ditemi voi se questo non è uno spreco!

Ma Skytg24 è del Gruppo Editoriale l'Espresso?

Ieri sera dopo avere visto lo speciale di Cristiano Fubiani sulla Siria (andato in onda alle 23,30 circa su Skytg24) mi sono chiesto se Murdoch avesse ceduto la rete a Debenedetti. Che Skytg24 non sia nemmeno lontana parente di Fox news questo ormai è appurato ma che faccia anche professione di antiamericanismo miltante questa poi mi è nuova. Insomma, pochi minuti prima avevo letto sul Corriere l'intervista ad Emma Bonino e l'articolo sulla petizione di 200 intellettuali siriani a favore del ritiro delle truppe di Assad dal Libano poi guardo questo programma e viene lanciato il messaggio contrario: la Siria non ha le colpe che le vengono attribuite e il paese è compatto a difesa del suo dittatorello. La Bonino dice che il vento è cambiato, che ci sono movimenti della società civile che si muovono a favore di un processo di democratizzazione, che in Egitto, Siria e tanti altri paesi il dissenso interno è forte... poi uno si guarda lo speciale del Fubiani e si deve sorbire la propagande di odio feroce verso l'America e verso Israele, ovviamente. Che qualcuno dica a Murdoch di guardare il suo canale 500!
F.

sabato, febbraio 26, 2005

Ideazione e galassia.

Ritorno a segnalare il sito Ideazione.com,in cui ormai quotidianamente vi sono articoli di approfondimento su temi di attualità. Io li trovo veramente chiari, ben fatti e esplicativi in quanto non danno nulla per sottinteso e anche chi non ha una conoscenza approfondita dell'argomento può capire e imparare di più.
Inoltre aggiungo un link al blog Le guerre civili a cui sono stato costretto a fare i complimenti per alcuni post che ho letto.

Attentato sul lungomare di Tel Aviv: almeno 4 i morti, quaranta i feriti

E poi non dite che se i palestinesi non hanno uno stato è colpa di Israele!

PRODI E BUSH: Un passo avanti due indietro e tanta anima Dc

"Insomma fa un passo verso la teoria a noi cara della legittimità delle guerre umanitarie per liberare popoli sterminati e oppressi, e dunque Prodi va apprezzato. [...] Quando però si tratta di trarne le conseguenze sull’Iraq di oggi, non ci siamo ancora. Non c’è traccia di giustificazione oggi possibile della missione italiana, e si continua a chiedere un calendario già fissato dalle risoluzioni Onu. [...] E una domanda sola, infine: c’è qualche traccia della lotta alla minaccia jihadista, nell’intervento prodiano?"
IL RIFORMISTA del 26/2/2005

venerdì, febbraio 25, 2005

Prodi secondo Cristian Rocca (e Marco)

Riporto il pensiero esposto da Cristian Rocca che coincide col mio.Parla di un articolo odierno che ha scritto Prodi sul Corriere della Sera.
Il commento lo si trova sul blog di Rocca: Camillo.
Condivido pienamente ogni lettera scritta.
Marco

Meno tasse si può: già tanti i paesi a una sola aliquota

"La storia più clamorosa è quella della Federazione Russa che, nel 2000, ha sostituito il sistema a tre scaglioni (con aliquote che arrivavano al 30%) con una "flat tax" del 13%. I risultati, in Russia come negli altri Paesi, sono stati clamorosi: un notevole aumento di entrate per l’erario (in soli quattro anni sono
raddoppiate), la diminuzione dell’economia sommersa, dell’elusione e dell’erosione (metodi legali per evitare di pagare imposte).
[...] I benefici attesi dalla riforma sono la semplificazione del sistema impositivo, con vantaggi enormi per i contribuenti, la riduzione delle forme legali di "renitenza" al pagamento delle imposte (elusione ed erosione), l’aumento del gettito per l’erario, e il corretto funzionamento degli incentivi al lavoro, al risparmio, all’investimento, con conseguente stimolo alla crescita economica. Questi vantaggi si sono già realizzati nei Paesi dove la "flat tax" è stata introdotta, il che spiega la sua diffusione in tanti altri Paesi."

Antonio Martino

Options for Tax Reform

Al Cato Institute Chris Edwards (director of tax policy studies at the Cato Institute) propone nel suo studio:
"a two-rate system that eliminates most deductions and credits and allows nearly all families to pay tax at a low 15 percent rate. A 27 percent rate would kick in for earnings above $90,000 (single) and $180,000 (married)."
Usa e Europa distano proprio anni luce!

Il Comitato per il sì rischia la crisi

La mancata intesa tra l'Unione e i radicali - naufragata per i veti del fronte cattolico del centrosinistra alle liste "Coscioni" e al collegamento tra regionali e battaglia referendaria - rischia di paralizzare il comitato. Lanfranco Turci, il Ds prestato a tempo pieno al comitato, porrà oggi l'ultimatum a Fassino nel consiglio nazionale del partito. "Dirò chiaramente che i Ds devono rivendicare il ruolo di protagonisti del referendum sulla fecondazione assistita e decidere di spendervi subito tutte le risorse politiche e umane di cui dispongono, senza aspettare un presunto secondo tempo dopo le elezioni regionali". La Repubblica del 25/2/2005

RADICALI: La linea di frattura è sempre nella Fed

Editoriale de Il Riformista del 25/2/2005 che comincia così:
E' quantomeno singolare che una coalizione che chiede ai radicali di aderire al proprio progetto politico (rovesciare il berlusconismo), chieda poi contemporaneamente a loro di nascondere il proprio progetto politico (fare le liste Luca Coscioni, con tutto ciò che questo implica). Ma l'abbiamo già scritto, e ci siamo stancati di aver ragione.

giovedì, febbraio 24, 2005

Liberare il Libano!

Articolo di Daniel Pipes comparso il 22/2/2005 sul New York Sun e riproposto oggi da L'Opinione.
F.

La ricetta della Casa Bianca fa proseliti

LA NUOVA EUROPA TAGLIA LE TASSE

di MASSIMO GAGGI (dal Corriere della Sera del 24/2/2005)

«E adesso provate con la "cowboynomics": rimettete in moto l’economia con un robusto taglio delle tasse» come ha fatto Bush. L’invito rivolto al Giappone di nuovo in recessione e alle economie più stagnanti dell’Europa - quella tedesca innanzi tutto, ma anche quella dell’Italia - è una provocazione liberista del Wall Street Journal. [continua a leggere cliccando su "leggi tutto!"]
Ma l’editoriale del quotidiano conservatore riflette lo stato d’animo dell’amministrazione Usa, convinta di essere sulla strada giusta, nonostante le critiche dei partner del G7 per l’indebolimento del dollaro e i rischi di instabilità insiti nel deficit dei conti con l’estero e in quello del bilancio federale. Ieri, nell’incontro di Mainz, Bush ha discusso col cancelliere tedesco Schröder soprattutto di Iran e crisi mediorientale, ma nel suo sorriso un po’ strafottente c’era anche l’orgoglio di chi guida un Paese che, pur tra molti problemi, continua a crescere rapidamente. L’America degli oltre 132 milioni di posti di lavoro - solo 9 milioni di disoccupati su 300 milioni di abitanti - è anche un Paese che attira cervelli, che assorbe e integra un fiume di immigrati, mentre la Germania, ancora terza potenza industriale del mondo davanti alla Cina e campione di esportazioni, è ugualmente schiacciata da una disoccupazione al 10,8% (4,5 milioni di senza lavoro su 82 milioni di abitanti).
Le contorsioni dell’Europa attorno al Patto di stabilità appassionano assai poco il governo Usa. L’unica vera preoccupazione finanziaria di Washington è che l’euro indebolisca il ruolo del dollaro come valuta di riserva universale: il veicolo attraverso il quale la «corazzata» America fa pagare anche al resto del mondo il prezzo dei suoi squilibri. Il ruolo dell’euro effettivamente cresce in questa direzione, ma per scalzare il biglietto verde - se mai sarà possibile - ci vorranno decenni.
C’è, però, anche un’altra sfida di cui si parla poco. Bush promette di non alimentare più la contrapposizione politica tra «vecchia» e «nuova» Europa, ma nel nostro Continente c’è ormai una netta divaricazione economica e non solo perché l’Est produce a costi molto più bassi dell’Europa «matura»: emerge anche una frattura ideologica sul ruolo dello Stato come redistributore del reddito, in buona parte alimentata dalla filosofia del taglio delle tasse, lanciata da Reagan e consolidata da Bush. A Bratislava il presidente americano ha incontrato i dirigenti di un Paese, la Slovacchia, che ha appena introdotto la «flat tax»: l’imposta ad aliquota unica (19% per tutti) che «tenta» anche la Casa Bianca e che può funzionare da potente stimolo all’economia, ma cancella l’obiettivo di equità insito nella tassazione progressiva e non è in grado di finanziare sistemi di «welfare» come quelli diffusi nella «vecchia Europa».
Ma la «flat tax», introdotta da anni a Hong Kong e allo studio a Pechino, è ormai una realtà in Russia (dove il prelievo è solo del 13%), in Ucraina, in Romania e in altre capitali dell’Est sensibili al proselitismo dei consiglieri «neocon» americani. L’hanno adottata anche cinque dei Paesi entrati quest’anno nella Ue: Estonia, Lettonia, Lituania e Malta, oltre alla Slovacchia.
L’Europa delle protezioni sociali, che considerava i tagli fiscali di Bush poco più che stregonerie, rischia l’assedio. E il «contagio» varca ormai i cancelli dell’Unione: qualche giorno fa, a Davos, ho chiesto al presidente della Georgia, Saakashvili - un ragazzone di 38 anni che fino a qualche anno fa faceva l’avvocato a New York - se, con tutti i problemi della sua turbolenta repubblica, era riuscito a occuparsi anche di Fisco. «Certo, ho già abbassato le tasse cinque volte. Ora siamo al 12%. Per tutti». Quindi rinunciate a finanziare un sistema di welfare... «Welfare? Quale welfare?»

"Perché la destra è più di moda della sinistra" di Martin Peretz

Martin Peretz è proprietario e direttore editoriale di «The New Republic », il settimanale liberal fondato nel 1914 che ha sostenuto il democratico Kerry alle ultime presidenziali. Una posizione, questa, non condivisa dal patron del giornale: «Un candidato poco attraente — ha detto —, ma è stata una scelta della maggioranza dei redattori e io non volevo imporre nulla». Peretz vive a Cambridge, la città dell’Università di Harvard, dove ha insegnato Studi sociali.
Uno dei suoi allievi è stato Al Gore, ex vice presidente dell’amministrazione Clinton, del quale ha sempre appoggiato la carriera politica. L’editore - giornalista liberal è su molti temi assai più vicino ai neoconservatori che ai democratici: in politica estera (è stato favorevole all’invasione dell’Iraq), sicurezza e su Israele. Per tornare alla Casa Bianca, secondo Peretz alla sinistra non basta un candidato appetibile («Hillary? Metà del Paese non la sopporta»): innanzitutto deve smettere di pensare che l’America «sia responsabile di ogni cosa e che l’11 settembre sia da imputare ad una sua colpa».

F.

Pannella: "Liste Coscioni ovunque"!!!

ROMA - Liste "Luca Coscioni" ovunque, ma di certo nel Lazio. Marco Pannella detta così la risposta radicale al no dell'Unione all'intesa elettorale. Il leader ha chiamato Radio Radicale di prima mattina, mentre era in partenza da Bruxelles per Roma, rilanciando la battaglia per "la libertà religiosa, della scienza, dalla politica del regime bipolare". Le Liste con cui nè il centrosinistra nè il centrodestra hanno voluto apparentarsi, quelle con il nome di Coscioni, risponde Pannella, saranno certamente presenti a Roma e nel Lazio, dove si considera più forte l'influenza del Vaticano sul voto. Dunque, vanno formate "subito". "Poi - aggiunge - vedremo a liste costituite cosa succederà".
(24 febbraio 2005)
F.

Roma, 09:40: UNIONE-RADICALI:PANNELLA TORNA A CHIEDERE A PRODI ACCORDO

"Torno a chiedere a Prodi e all'Unione che si faccia l'accordo". Marco Pannella, in procinto di salire sull'aereo che da Bruxelles lo riportera' nella capitale, non rinuncia a lanciare l'ennesimo appello al centrosinistra perche', dopo il no' di ieri notte, riapra il tavolo delle trattative per l'intesa politico-elettorale in vista delle prossime 'regionali'. Quanto e' avvenuto ieri - scandisce il leader radicale dai microfoni di Radioradicale riferendosi al 'naufragio' del negoziato - e' sbagliata, inaccettabile anche dal punto di vista del galateo politico e della diplomazia". Pannella considera la "comunicazione" avvenuta ieri da parte dell'Unione, che di fatto ha chiuso ogni ipotesi di intesa, "come se non fosse avvenuta".
F.

The Right (Italian) Nation

Sul sito di Ideazione c'è la seconda parte dell'ultimo numero di Ideazione dedicato al "progetto" Right Nation all'italiana. E' un numero uscito nelle edicole e librerie solamente un mese fa e che qui troviamo gratuito. Una bella iniziativa per un progetto in cui io credo fermamente, sopratutto nei suoi aspetti anti politically correct,liberali e anti statalisti. Il federalista nella mia persona appoggia il progetto e spera rimanga sempre svincolato dai partiti politici,sappia criticarli quando è giusto, e appoggi tutti quelli che ci credono come ha già saputo fare.
Marco

Il Radicale Christian Rocca...

What's left?
I progressisti italiani hanno chiesto ai radicali di non mettere il nome di Luca Coscioni nel loro simbolo. Meglio Buttiglione, almeno ci crede davvero.
(23 febbraio)

Scusi, chi è il vosto leader?
Una buona parte della Margherita non vuole i radicali nell'alleanza perché i radicali sono l'anticristo eccetera. Se non ricordo male il leader della Margherita è l'ex segretario dei radicali.
(23 febbraio)
da Camillo - il blog di Christian Rocca
F.

Gentile sig. Prodi...

Gentile sig. Prodi,
Le confesso che avevo molta stima nei suoi confronti e un accordo fra l'Unione e noi Radicali non mi sarebbe dispiaciuto affatto. Avrei dovuto candidarmi nelle liste Radicali - Luca Coscioni nella provincia di Reggio Emilia e forse anche in quella di Modena. Purtroppo il suo NO non ci permetterà di prendere parte alle elezioni regionali. Correre fuori dai poli purtroppo non è più possibile. Che i Radicali non possano partecipare ad elezioni democratiche mi sembra un fatto gravissimo, che non si permetta a Luca Coscioni di essere il simbolo delle nostre liste lo trovo ancora più grave... dal momento che permettete a liste COMUNISTE di far parte del vostro schieramento. Il Comunismo SI, Luca Coscioni NO... questo non lo capisco. Proprio quei simboli (falce e martello) che in Europa rischiano di essere proibiti (ed equiparati alla svastica dei nazisti) nel vostro schieramento trovano ospitalità.... ma Luca Coscioni invece non può trovare ospitalità nella vostra casa. Io signor Prodi sono molto deluso per il Suo rifiuto, Le auguro di vincere le elezioni regionali ma ieri Lei ha perso la mia stima. Grazie e Lei, l'UDC, la LEGA e parte di AN (è proprio in bella compagnia!!!) io non potrò candidarmi insieme ai miei compagni Radicali. Cordiali saluti
F.

mercoledì, febbraio 23, 2005

Chiudilo

Leggo da Wittgenstein che il blog di Prodi è attivissimo...Questa è l'attenzione che la politica dedica alle persone normali. Del resto c'è chi ha provato a organizzare discussioni bilaterali. Solo che spesso uno dei due lati nemmeno ti risponde (vero Il Riformista????)...mah...sembra di avere le catene.
M

Direte mai che vi siete sbagliati su Sharon?

"...già sto assaporando l’idea di quando vedremo Massimo D’Alema, Lamberto Dini, Paolo Cento salire sul palco di un congresso di partito (e chissà come si chiamerà e che simbolo avrà) e dire «sulla democrazia israeliana ci eravamo sbagliati». Vista la velocità a cui ci hanno abituato ci vorranno almeno quindici anni, ma l’importante è saper aspettare." - Yasha Reibman su Tempi
F.

Prodi e i suoi chierichetti

Non è bastato l'incontro di questa mattina, ora si attendono le decisioni nel pomeriggio... entro sera speriamo arrivino. Le margherite democristiane stanno facendo il possibile per sbarrare la strada ad un accordo. Che Prodi non volesse ospitare i radicali era chiaro e infatti il suo luogotenente Parisi ha accampato pretese berlusconiane: che i radicali dicano che il male dell'Italia è Berlusconi!!!
Ora l'ostacolo è il nome delle liste radicali: Luca Coscioni non piace. Le ACLI nel frattempo sono intervenute: no ad un accordo radicali - unione. Ma questi radicali hanno la lebbra? A destra non li vogliono, a sinistra neppure.... per Mastella si accoltellerebbero i due schieramenti pur di accaparrarselo, per i radicali invece indifferenza e rifiuti... ma che paese è questo?
F.

BLOG????

Su Emporion, rivista online di ENEL, si parla della diffusione dei blog negli Stati Uniti nel 2004. Secondo me il futuro è qui,anche se leggere su carta rimane tutta un'altra cosa.
Alla fine si parla di questo problema: "Qualcuno paventa il rischio che, di fronte a questa overdose di notizie, gli utenti comincino a selezionare le fonti in base alle proprie inclinazioni, soprattutto politiche, scartando tutto il resto."
Io credo che quando uno sceglie un giornale o guarda la tv,segue già le porprie inclinazioni. E' naturale che uno legga blog con le proprie onclinazioni, ma è più facile accorgersi di altri spunti e riflessioni, e questo a un costo praticamente nullo.
Marco

martedì, febbraio 22, 2005

La resistenza anti Coca-Cola

di Valerio Fioravanti (da L'Opinione del 22/2/2005)

Il rettore dell’università Roma Tre poche settimane fa aveva scimmiottato le inaugurazioni dell’anno giudiziario, distribuendo copie della Costituzione
e invitando tutti a resistere. La cosa ha eccitato animi e fantasia, tanto che adesso la stessa università ha deciso di boicottare la Coca Cola. “Il senato accademico” all’unanimità ha così “deciso di dire basta ai prodotti il cui marchio sia chiaramente rimandabile a violazioni dei diritti umani, violazioni delle norme della comune morale pubblica e legate a chiare ed evidenti politiche di sfruttamento del lavoro”. Quindi, ordina il senato accademico, la Coca Cola sarà rimossa dai distributori automatici. Ad occhio e croce le quotazioni in borsa della multinazionale americana non ne hanno risentito. Ne risente invece il livello di serietà delle nostre università.

... e Della Vedova che dice?

Sul blog "dove vanno i radicali?" ci si comincia a chiedere "ma Della Vedova che dice sull'accordo con l'Unione?". Effettivamente il nostro radicale preferito è silenzioso e segue tutta la questione defilato... chissà quando uscirà allo scoperto?
Ecco alcuni commenti a tal proposito presi dal blog menzionato:

...E chissà se nel segreto dell'urna Della Vedova voterà la sinistra...

Condivido pienamente anch'io. Ragazzi tutti uniti assieme a Della Vedova... Che secondo me nel segreto dell'urna a sinistra non ci vota...

Vorrei che Della Vedova avesse coraggio e venisse allo scoperto. Tanto si sa cosa pensa veramente dello scellerato accordo con l'unione!
Noi ci siamo e mi convinco sempre di più che non siamo poi così in pochi!!


Della Vedova verrà fuori al momento opportuno. Lascia che il patto scellerato sia scritto nero su bianco e poi vedremo.

Passi enormi. Verso dove?

Io concordo con Enzo Reale di 1972,che scrive:"Quelli come Capezzone sono una risorsa straordinaria e, in un paese serio, se ne sarebbero già accorti. E al limite si può pure intendere che anche lui, come gli altri, giochi la sua partita con le carte che ha a disposizione: ma la stretta di mano con Fassino (e Prodi) a questo punto cosa c'entra?"
Questo lo pensa Marco,non Filippo.

MORAL CLARITY

Ah...di moral clarity mi pare ne parli anche JIMMOMO . Per gli amici con cui si discuteva 2 anni orsono...BUSH è un guerrafondaio...a ma si.

Per ora...

Volevo scrivere la mia opinione su certi candidati alle regionali...ma ancora non c'è niente di certo e l'ambiente esterno mi obbliga a muovermi prima che la Roncocesi-Cadelbosco sopra rimanga bloccata dalla neve e dover poi imprecare col ministro Lunardi.
Regalo solo due parole su cui riflettere...MORAL CLARITY
Presto vi saranni ragguagli...

Se state seguendo la discussione su romanzo popolare e cultura de sinistra...

Caro Sanguineti, Gramsci-Lecciso?

di Massimiliano Parente (Il Domenicale del 19/2/2005)

Caro Edoardo Sanguineti. Si sarebbe aperto un bel dibattito, grazie alla denuncia di Carla Benedetti contro la “fabbrica del bestseller” e dei suoi critici compiacenti, contro i thriller che nessuno in Italia critica o viviseziona semplicemente perché vendono. Subito andato in vacca grazie a Loredana Lipperini, punta sul vivo dell’entusiasmo per Faletti, in difesa del popolare che non sarebbe populista, perché a lei piace Faletti in quanto popolare e quindi di sinistra.
Poi è arrivato Giuseppe Caliceti, dicendo che l’intellighenzia di sinistra ha sdoganato il genere come modo migliore per raccontare la realtà contemporanea, dunque colpa della sinistra. Al che è subentrato anche il lupus in fabula, pertanto Faletti dice che, sebbene non si sia mai proposto come l’erede di Kafka o di Hemingway, ci tiene a puntualizzare: «Comunque, nessuno pubblica i libri per non venderli». Ignorando che Kafka, tanto per citarne uno citato da Faletti stesso, vendeva all’epoca appena duecento copie, e qualcuno, dopo, deve aver pensato di pubblicarlo perché letteratura, altrimenti chissà quale sarà la differenza tra un editore di libri e un incartatore di Big Mac o di Faletti Burger.
In ogni caso è arrivato anche Berardinelli, dicendo che la colpa è tutta di Umberto Eco, seguito a ruota da Nico Orengo, con un intervento contro «i superciliosi critici alla Carla Benedetti», siccome invece i best-seller «vengono, sui più diversi media, analizzati», e Umberto Eco, altro che colpa, lui sì lo fece ne Il nome della rosa, e piuttosto Wu Ming e Faletti non l’hanno seguito.
Quindi sei arrivato tu, o Edoardo, per spiegare postmodernamente che «Gramsci avrebbe studiato le Lecciso», perché Gramsci «che si interrogava su che cosa leggeva la gente, sul romanzo di appendice e sul linguaggio che usava è stato molto più fecondo di tante analisi crociane», insomma, «l’intellighenzia di sinistra avrebbe dovuto spendere energie e spazi per capire» e «cercare di capire che cosa si consuma, che calendari si fanno con le veline» e pensandoci «anche Marx e Engels non discutevano soltanto dei classici economici».
Ecco. Se non ci fossi stato tu mica avrei capito. Avrei pensato, per esempio, che la “biografia non autorizzata” di Costantino, scritta da Giuseppe Genna e Michele Monina, fosse solo una spensierata e gaudente incursione capitalista anche per guadagnare qualche euro. Invece no. Trattasi di marxismo applicato.

"Con le peggiori intenzioni" di Alessandro Piperno

E' dalla sua uscita che si parla molto bene di questo romanzo. Ieri poi il Piperno era ospite di Ferrara a Ottoemezzo e ha fatto dichiarazioni ottime: per esempio alla domanda "Cosa ne pensa dell'America?" ha risposto "la adoro!". Peccato che consideri Houellebecq sopravvalutato... ma qualche difetto questo Piperno doveva pur avercelo.
Alcuni giudizi presenti su ibs:

matteo - zarathustra.fox@infinito.it (21-02-2005)
splendido.un libro che restera', e non solo per lo stile vertiginoso.sembra Philip Roth ma non e' una copia, c'e' dell'altro.Una boccata d'aria fresca nel putrido stagno della letteratura italiana.
Voto: 5 / 5


Giano (17-02-2005)
Questo è davvero un libro meraviglioso. Cito da un blog Giuseppe Genna: "Piperno ha 32 anni. La sua apparizione nella letteratura italiana contemporanea segna un discrimine che va ad assommarsi ad altri discrimini segnati in questi ultimi quindici anni da altre apparizioni letterarie italiane, che hanno mutato il volto della nostra narrativa".
Voto: 5 / 5


G.C. (16-02-2005)
Stre-pi-to-so!!!
Voto: 5 / 5

Il riepilogo de "il giovane economista di Alcamo"

Riepilogo (da Camillo, il blog di Christian Rocca)
Tre anni e mezzo dopo l'attacco di al Qaida all'America:
1) Il regime fascista islamico dei talebani è stato fatto fuori e gli afghani hanno votato liberamente il loro presidente. Una donna è diventata governatrice di una provincia. L'Afghanistan ha ripreso un cammino di civiltà
2) Il regime nazionalsocialista, insomma: fascista, di Saddam Hussein è stato fatto fuori e gli iracheni hanno potuto votare per la prima volta e decidere liberamente il proprio futuro. I nostalgici del regime e i fascisti islamici tentano di impedire un futuro libero al popolo iracheno, così uccidono (uccidono gli iracheni, non gli americani). Gli iracheni purtroppo continuano a morire (per mano dei fascisti) anche se in quantità inferiore rispetto a quando questi assassini erano al potere.
3) In Palestina finalmente c'è speranza. Israele si ritirerà da parte dei territori occupati in seguito a una guerra subita e vinta. Prima della politica post 11 settembre sembrava un tabù. Si parla per la prima volta di Stato palestinese, lo vogliono sia la destra israeliana sia gli americani. Prima della politica post11 settembre sembrava impossibile. E' potuto accadere perché Bush ha chiuso i rapporti col dittatore Arafat, il responsabile unico del fallimento dell'accordo con Clinton e Barak. Due anni di porte sbattute in faccia ad Arafat hanno fatto crescere la consapevolezza della classe dirigente palestinese, che si è trovata pronta e dopo la morte del dittatore ha capito che doveva fare altro.
4) La Siria, che oggi non è uno Stato ma un'organizzazione terrorista, s'è presa paura ma sembra che abbia fatto un passo falso a uccidere il leader libanese che chiedeva il ritiro delle sue truppe d'occupazione in Libano (a proposito: perché i pacifisti o magari Fabio Mussi non ne hanno mai chiesto il ritiro?). Ora i libanesi, per la prima volta, urlano "Syria out now" e protestano tutte le sere. Come in Ucraina.
5) Già, c'è anche l'Ucraina. Non c'entra con il medio oriente e con l'11 settembre, ma nel frattempo gli americani hanno fatto anche questa. Finanziando l'opposizione e sostenendola. Fottendosene dell'amico Putin. Ah, e l'hanno fatto anche in Georgia.
6) In Egitto si fa strada un'opposizione democratica. Per la prima volta si chiedono apertamente riforme e democrazia. E' dura, ma si comincia.
7) I sauditi sono molto attivi. Temono di doverla pagare (e sarà sempre troppo tardi). Così fanno quello che sanno fare benissimo: tentano di vendere il fontanone agli allocchi occidentali (che ci cascano) e organizzano finte elezioni amministrative e convegni farsa antiterrorismo. Però stavolta ci ha creduto soltanto Repubblica.
8) Poi c'è l'Iran, la vera questione aperta. Se si fa la Bomba sono cavoli. Colpire le centrali (come nel 1981 a Osiek, in Iraq) è durissima, perché sono in zone altamente popolate. Dopo le proteste studentesche di due anni fa, sempre sullo slancio della liberazione dei due regimi confinanti è partita un'altra iniziativa democratica: un referendum sul regime. Ovviamente i giornali non ne parlano (ehi, dico i giornali di qua, non quelli dei mullah)
9) L'Europa, cioè Francia e Germania, cercano comicamente un modo di rientrare nella partita e di blandire l'ospite americano facendo finta che Bush sia cambiato (è già pronta la manipolazione e vedrete come domani editorialeggeranno contenti contenti). Ma, appunto, ci può credere solo il lettore di Repubblica.
10) L'inutile Onu è sprofondato in scandali di corruzione, pedofilia organizzata e molestie sessuali. In un mese e mezzo sono stati costretti alle dimissioni 6 o 7 top manager delle Nazioni Unite e vedremo che cosa succederà a Kofi Annan.
11) L'unico al mondo a non averne capito niente è il desperate united Romano Prodi.
PS
C'è qualcuno che ancora spiega come l'idea dell'effetto domino fosse una follia e come quell'idiota di Bush abbia sbagliato tutto (e, ovviamente, perso i dibattiti: 3 a 0).

lunedì, febbraio 21, 2005

Tra 24/36 ore la decisione finale!

Incontro molto positivo quello di oggi pomeriggio fra Radicali ed esponenti de l'Unione (Fassino e Marini). Al vertice di domani del Centrosinistra si dirà finalmente SI oppure NO alle liste "Radicali - Luca Coscioni".

1995-2005: Dieci anni di Liberal

Le nuove frontiere della libertà è il tema del convegno internazionale organizzato in occasione dei dieci anni di vita, di attività, di ricerca, di riflessione di liberal. L'appuntamento è fissato per il 3, 4 e 5 marzo a Roma, alla Sala capranica (piazza Capranica 101). Molte le presenze da Lorenzo Ornaghi a Bill Kristol, da Robert Kagan a Daniel Pipes, da André Glucksmann a Michael Novak, a Marcello Pera, a José Maria Aznar, a Franco Frattini, a Wolfgang Schauble, a Silvio Berlusconi e ad altre personalità del mondo della politica e della cultura.

Parte Kyoto: con India, Cina e Usa fuori, ci costerà molto

Articolo molto interessante di Carlo Stagnaro comparso l'11 febbraio 2005 su Il Riformista. Questo blog continua a non ratificare il protocollo.

domenica, febbraio 20, 2005

I Maccheronici!

Il Federalista è ufficialmente iscritto al fans club di Camillo Langone. Del nostro eroe reazionario noi non apprezziamo le idee politiche ma amiamo tanto il personaggio: il suo stile, le sue manie, il suo dandismo e il suo essere esteta. Nella disputa Langone Vs Aldo Nove noi ci siamo schierati col Langone e da lì abbiamo seguito le sue maccheroniche evoluzioni, rimanendo sempre dalla sua parte. Lunga vita a Camillo Langone eroe reazionario!

sabato, febbraio 19, 2005

E' ora che la Sinistra cambi giudizio su Sharon e su Israele!

«Colombo ha ragione su Sharon, ora la sinistra non liquidi il dibattito»

- intervista a Yasha Reibman sulle dichiarazioni di Furio Colombo (che invitava la sinistra a cambiare giudizio su Ariel Sharon), Corriere della Sera del 19/2/2005

«Aver demonizzato Ariel Sharon ha impedito alla sinistra italiana di ricordarne il passato laburista e di intuirne l’evoluzione da guerriero a premier della pace con i palestinesi. Le parole di Furio Colombo devono aprire una discussione che aiuti a rimuovere i pregiudizi». Yasha Reibman, portavoce della comunità ebraica milanese, giudica una svolta coraggiosa l’intervista al direttore dell’Unità di Aldo Cazzullo, pubblicata ieri dal Corriere. «Non tanto una svolta per Colombo, che è sempre stato un attento osservatore di Israele. Ma ha parlato da direttore dell’Unità: ora il suo giornale può evitare che proprio a sinistra il dibattito venga liquidato».
Colombo ha detto: Sharon ha rivelato «le doti del grande personaggio, è cambiato mentre poteva e doveva cambiare». Perché la sinistra è rimasta fissata sull’immagine del generale?
«Generale sì, ma di un esercito di popolo. Un politico mai ideologico. Qui siamo abituati il più delle volte a confrontarci con scelte mediocri affrontate in modo mediocre, abbiamo difficoltà a capire il livello della posta in gioco in Israele. Con le ultime decisioni, ancora una volta Sharon ha consapevolmente scelto di rischiare la vita, non solo quella politica».
Lo storico Michael Oren ha spiegato sulla rivista liberal The New Republic che i progressisti israeliani celebrano Sharon sbigottiti perché non sono stati capaci di cogliere che è coerente con la sua cultura politica di provenienza, la stessa di David Ben-Gurion.
«E’ stato Sharon nel 1982 a sgomberare gli insediamenti di Yamit per trattare con l’Egitto. Lo ha raccontato anche Colombo: Sharon è convinto di essere l’unico a poter fare la pace. Ero a un incontro del 2001 dove disse: "Sono stato generale, ministro, ho 73 anni. Mi resta un po’ di tempo per attuare la pace con gli arabi, mai a scapito della sicurezza di Israele". Ed ecco la scelta coraggiosa del ritiro unilaterale da Gaza, che spacca il governo, il Likud. Niente: a sinistra sembra impossibile che sia Israele, e proprio Sharon, a fare passi verso la pace».
Lei è andato a una manifestazione per i diritti degli omosessuali con la bandiera di Israele e gli autonomi gliel’hanno squarciata.
«E’ uno dei paradossi che si vive a sinistra nei confronti di Israele. E’ l’unico Paese del Medio Oriente dove i gay non rischiano niente, gli omosessuali palestinesi scappano dai territori e cercano rifugio a Tel Aviv. Eppure nel corto circuito causato dai sensi di colpa europei per il colonialismo e la Shoah, gli israeliani sono i nuovi nazisti».
In Israele il paragone Sharon-Hitler viene fatto dall’estrema destra, ora che il premier ha deciso di sgomberare gli insediamenti nella Striscia di Gaza. Un altro paradosso?
«La cecità ideologica può costringerti a strani compagni di strada, in questo caso i coloni che proprio la sinistra ha sempre criminalizzato equiparandoli ai terroristi palestinesi».
Che cosa si aspetta dai leader della sinistra, dopo le parole di Furio Colombo?
«Non sarà facile per chi vorrà combattere contro l’antisemitismo di una certa sinistra. I veri leader, come nel caso di Sharon, non sono quelli che scelgono battaglie vinte in partenza».
Qualche segnale concreto?
«Fausto Bertinotti aveva proposto alle comunità ebraiche di organizzare dei seminari sul sionismo nelle sezioni di Rifondazione. Facciamolo. Massimo D’Alema incontri Sharon e provi a giudicare la sua determinazione dopo averci parlato a lungo. Le migliaia di ragazzi che ogni anno partono come volontari per aiutare i palestinesi passino un periodo a Gerusalemme, Haifa, Tel Aviv».

venerdì, febbraio 18, 2005

Grande articolo di Capezzone!!!!!

Non si tratta -quindi- di “esportare” alcunché, né -meno che mai- di “esportare valori occidentali”. Si tratta, al contrario, di rimuovere in tutto il mondo gli ostacoli che si frappongono alla possibilità, per ogni donna e per ogni uomo, di vedere effettivamente realizzato il proprio diritto individuale alla libertà e alla democrazia. Nessuna esportazione, dunque, ma -questo sì- la creazione delle condizioni per cui ogni popolo ed ogni individuo possa scegliere quel che, finora senza eccezioni, è stato sempre scelto dai popoli e dagli individui che hanno potuto decidere liberamente: i valori universali dell’umanità e dell’umanesimo liberale. Tutto ciò è necessario e possibile: anche a Teheran. - Daniele Capezzone

I diritti fondamentali / 2.

Domanda: di Filippo (2/17/05 9:33:13 PM)
"Caro Marco,
scusa se ti pongo una questione che esula un poco dall' attualità (rappresentata dalle elezioni regionali). Sabato scorso ero a Bologna al congresso di Anticlericali.net e ho ascoltato con molto interesse la relazione di Angiolo Bandinelli. Ha toccato una questione importante: il relativismo. Adesso è molto in voga lo sbeffeggio dei relativisti (penso a Il Foglio, alle dichiarazioni del presidente Pera, ecc.). Allora mi sono chiesto: Bandinelli difende il relativismo, perchè? Si contesta ai relativisti il fatto che non possono dare giudizi di valore (cioè dire "questo è meglio di quello). Pera, nel suo libro ("Senza radici"), dice che i relativisti non possono affermare che la democrazia è meglio della teocrazia, che una costituzione è meglio della sharia (per i relativisti tutte le posizioni sarebbero uguali). Ma i radicali sono relativisti e nello stesso tempo si dichiarano a favore della democrazia e cercano di promuovere la democrazia nel mondo. Cosa c'è che non va? Anche i radicali danno un giudizio di valore? dicono che la democrazia è meglio di tutte le altre forme di governo... allora non sono relativisti? Io la penso un po' alla maniera di Locke e dei giusnaturalisti, cioè che esistono dei diritti naturali dell'uomo: diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. Sono diritti universali e naturali che riguardano tutti gli uomini. La democrazia è un diritto naturale perchè tutela la libertà. In questo caso non si da un giudizio di valore (soggettivo) ma si da un giudizio oggettivo. Dire che i diritti dell'uomo sono valori non universali ma occidentali (in quanto tutelati dalle democrazie liberali occidentali) vorrebbe dire imporre verso altre culture una cultura occidentale perchè migliore. In questo caso però manca il fondamento: su quali basi si dice che è migliore? Su un giudizio a mio parere puramente soggettivo. Tu che ne pensi?
Ciao e grazie
Filippo"

Risposta di Marco Cappato:

Più che "diritto naturale" mi convince la versione di diritti che sono il risultato dell'evoluzione dell'umanità, e che acquistano carattere "universale", cioè rivendicabili da ogni uomo, in quanto "diritti storicamente acquisiti". In altre parole, se la tortura era una violenza anche nell'antichità, non sarebbe stato realistico proporre allora il diritto a non essere torturato come "diritto universale", mentre oggi ha senso farlo, e lo facciamo, in quanto esito di una evoluzione storica.
Non ho potuto seguire la relazione di Bandinelli, ma credo che dipenda molto dal significato che diamo alla parola relativismo. Il limite tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è rimane quello della violenza sull'altro. In altre parole, Pera è un intollerante quando dice che in Europa anche i laici DEVONO dirsi cristiani, imbracciando la bandiera dell'egemonia culturale cristiana in Europa per fare argine al fanatismo islamico. Al tempo stesso dobbiamo opporci ad ogni relativismo che si spinga fino ad accettare la legge del taglione o cose simili.

giovedì, febbraio 17, 2005

Sempre a proposito di libertà economica

In quali settori l’Italia ottiene i migliori e i peggiori risultati?
Il risultato migliore è nella stabilità monetaria, garantita dall’euro. Ma purtroppo l’Italia realizza un risultato terribilmente alto in campo fiscale. Abbiamo dato un giudizio di 4.3 (molto vicino a 5, che è il risultato peggiore possibile), a causa delle alte aliquote che gravano sull’economia. Per giunta, nel 2003 la spesa pubblica è cresciuta dello 0,8% del pil, contro un calo della stessa entità che si era avuto nel corso del 2002.
Vi è pure una relazione tra bassi tassi d’imposta e crescita?
Certamente. Negli ultimi cinque anni, i sette paesi europei con i più bassi tassi d’imposta (tra cui vi sono Slovacchia, Danimarca, Estonia e Lettonia) hanno avuto un tasso di crescita annuo del 4,5%, mentre gli otto paesi europei ad alta tassazione (insieme all’Italia, vi sono pure Germania e Francia) sono cresciuti in media solo dell’1,7%. Voi italiani dovreste imparare la lezione, e aumentare la libertà economica dei vostri cittadini grazie ad un deciso taglio delle imposte, come i paesi dell’Est hanno fatto.

(alcune risposte date da Marc A. Miles, curatore del "2005 Index of Economic Freedom", a Il Giornale di ieri)

Lettera aperta ad Ermete Realacci

FONTI RINNOVABILI E IGNORANZA
di Carlo Stagnaro, dal sito www.libertari.org 19/02/2005

Le scrivo in relazione al dibattito di stamattina, ad Omnibus. Quando ho affermato che le fonti "rinnovabili" provvedono, in Italia, circa lo 0,01% del fabbisogno lei mi ha accusato di essere un "ignorante". Effettivamente ho commesso due errori. Il primo, che ho subito ammesso, è stato non specificare che mi riferivo alle energie rinnovabili cosiddette "alternative", cioè essenzialmente eolico e fotovoltaico. Se si considera l'energia idroelettrica, la percentuale sale di molto: dubito però che della sua strategia faccia parte l'erezione di nuove dighe. Il secondo errore è stato quello di affidarmi a una fonte inattendibile, cioè Legambiente, secondo cui "la potenza efficiente netta al 31/12/'96 è infatti prodotta per circa il 69% da impianti termoelettrici, per circa il 30% da impianti idroelettrici e soltanto per circa lo 0.9% dalle altre fonti rinnovabili, di cui la massima parte è costituita dalla geotermica, mentre le altre fonti ammontano allo ~0,01% del totale". Questo documento è piuttosto vecchio, oltre che inesatto. Ho infatti verificato sul sito del GRTN i dati più recenti e - sorpresa - mi rendo conto che eolico e solare ammontano allo 0,005% dell'energia prodotta nel nostro Paese, cioè circa la metà di quanto ho detto in onda. Sono certo che nella sua signorilità lei vorrà scusare l'errore e anzi giovarsi del dato più preciso, nell'ambito della sua intensa attività pubblica. Cordiali saluti.

Ringraziamenti

Ringrazio ufficialmente l'editore Falzea per avermi omaggiato con la agenda Falzea 2005, ho apprezzato molto... anche per la lettera allegata al pacco, grazie mille.
Inoltre ringrazio Benedetto Della Vedova (lo confesso, il mio radicale preferito!) per aver messo fra i suoi blog preferiti anche Il federalista, grazie!

I diritti fondamentali / 1.

La questione mi interessa e in questi giorni mi son documentato. I diritti fondamentali vengono sanciti nel XVII° secolo dalla dottrina giusnaturalista, lo stesso Locke afferma che esistono dei diritti naturali dell'uomo: il diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà. Nel secolo seguente, il XVIII°, questi diritti fondamentali vengono affermati dalle rivoluzioni: quella francese e quella americana. Nelle costituzioni di questi paesi vennero dichiarati questi diritti inalienabili dell'uomo: la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino in Francia e il Bill of rights in America del Nord. Queste enunciazioni si rifanno allo spirito giusnaturalista ed illuminista del periodo. Nel XX° secolo tante costituzioni hanno messo al loro interno l'inviolabilità dei diritti umani, con diciture diverse e senza elencare quali sono questi diritti. Queste costituzioni, ad esempio quella italiana, muovono però da una concezione diversa, muovono infatti dal positivismo giuridico. Il giusnaturalismo afferma che questi diritti fondamentali sono naturali ed universali, coiè appartengono a tutti gli uomini, e vengono prima di ogni legge formulata da un Stato. Il positivismo giuridico invece afferma che tali diritti fanno parte del diritto positivo che uno Stato crea e quindi sono in un certo senso arbitrari e non universali. Se quindi i giusnaturalisti dicono che queste diritti non vanno violati è perchè violandoli si andrebbe contro la natura dell'uomo, i positivisti affermano che tali diritti non hanno come fondamento l'essere effettivamente naturali ed universali ma sono una costruzione dell'uomo e sono giustificabili con l'auspicabilità e il consenso (cioè come dire che la maggior parte delle persone gradirebbe che venissero rispettati e tutelati). Ovvio che nel primo caso il fondamento sarebbe dunque oggettivo, nel secondo soggettivo. Nel primo caso si potrebbe dire che sono valori universali, nel secondo che sono valori occidentali. Quindi, per promuoverli anche verso gli altri, nel primo caso non occorrerebbero giustificazioni, nel secondo invece occorrerebbe dire che questi valori sono migliori, occorrerebbe dunque dare una giustificazione di valore, dire "i valori occidentali, che si basano sul rispetto dei diritti dell'uomo, sono migliori di quelli di altre culture". Lo stesso Blair ultimamente ha dichiarato che bisogna promuovere la libertà nel mondo in quanto valore universale, in questo caso siamo dalle parti di Locke, dell'illuminismo e del giusnaturalismo. Volere invece imporre i valori dell'occidente in quanto migliori (come dicono gli anti-relativisti) invece è una prevaricazione, perchè da un giudizio soggettivo, con pretese tra l'altro di oggettività (questo è meglio di quello), si ha la pretesa di imporre ad altre culture quella occidentale perchè migliore (ma qual'è il fondamento di questa valutazione? Il fondamento è puramente soggettivo).

Il blog di Nicola dell'Arciprete non ratifica il trattato di Kyoto!

Questo blog invece è ancora indeciso. Al momento non ratifica, prenderà un po' di tempo per documentarsi e poi farà le sue valutazioni!

Italia 26esima per la libertà economica!

Il 26esimo posto ottenuto dall'Italia - viene spiegato da Alberto Mingardi, dell'Istituto Bruno Leoni, pensatoio italiano partner della edizione europea della ricerca - è legato ai seri problemi di riforme strutturali. "Galleggiamo a questo livello - osserva Mingardi - da una decina d'anni, dal 1995, salvo una lieve variazione nel periodo 97-98. La nostra posizione, riflette difficoltà a realizzare riforme strutturali". In particolare - viene specificato - "ciò che pesa è il carico fiscale e il suo tasso repressivo. Nella tassazione - viene precisato - abbiamo un voto pari a 4 su 5. Per quanto riguarda la tassazione sulle imprese siamo al 103esimo posto su 155 Paesi, per quanto riguarda quella sulle persone fisiche siamo al 107esimo posto".

L' agenda «neocon» per un mondo perfetto

- di IRVIN STELZER, dal Corriere della Sera del 16/2/2005

Il manifesto dei neoconservatori: la politica di Bush ha radici nella storia pacifista degli Usa e crede nei valori universali.
Non etichettateli come «movimento». Da sempre sono in lotta contro i movimenti: quello per la pace, quello comunista, quello ambientalista. C'è chi li accusa di fare più gli interessi di Israele che non di Washington; inverosimile, anche perché l' elettorato ebreo vota per i Democratici. In passato, i presidenti Theodore Roosevelt e Wilson seguirono gli stessi principi: parlare a bassa voce e portare con sé un grosso randello.
[continua a leggere cliccando su "leggi tutto!"]

Amati, temuti, citati, oltraggiati, scopiazzati, tradotti, esorcizzati, annotati: dalla guerra in Iraq in avanti nessun gruppo intellettuale ha avuto la sorte rumorosa dei neoconservatori americani, detti «neocon». Nati da una costola della sinistra, i loro antenati hanno familiarità con il trotzkismo, persuasi che l' estremismo in difesa della libertà non sia un difetto, i «neocon», cresciuti intorno a pochi fogli militanti, qualche cattedra universitaria, pochi politici amici, accampano oggi un' influenza straordinaria. Non c' è mossa del presidente Bush, in politica estera o interna, che non venga, soprattutto in Europa, addebitata ai «neocon». Un progetto (cui presero parte alcuni di loro), sulla nuova America, detto Pnac, appare su mille siti Internet come la base di un complotto per dominare il mondo. Chi sono veramente i «neocon»? Fanatici intellettuali o gente che ha ancora fiducia nella forza delle idee? Democratici ultras o conservatori assatanati? Irwin Stelzer ha composto l' antologia che farà adesso da manuale del movimento. Ecco, in nuce, la prima autobiografia filosofica dei «neocon».

La guerra in Iraq rappresenta il culmine della conquista dell' America da parte dei neoconservatori, almeno se si presta fede alla maggior parte dei media europei e anche ad alcuni di quelli americani. Secondo The Economist, una piccola congrega di intellettuali - «ideologi della conservazione... sprezzanti... di quello che ritengono l' idealismo multilateralista» - ha convinto l' America ad abbandonare il suo tradizionale approccio alla politica estera e a diventare un' egemone imperialista unilaterale propensa a scatenare attacchi preventivi nei confronti di chiunque possa rappresentare una minaccia per la sua sicurezza. Secondo i critici della tendenza neoconservatrice, gli Stati Uniti non prestano più quello che Thomas Jefferson definiva «il dovuto rispetto alle opinioni della razza umana». Dopo anni di complotti, questa banda di neoconservatori, o neocon, guidati dai loro più importanti confratelli, George W. Bush e Dick Cheney, ha assunto il controllo assoluto sulla politica estera e sulla sicurezza degli Usa, per non parlare di quello esercitato sulla politica interna. Ma le difficoltà dell' America in Iraq hanno creato seri dubbi in merito all' abilità degli Stati Uniti di conseguire l' obiettivo neoconservatore di esportare la democrazia americana. «Questo è il momento - ha scritto Matthew Parris, quasi un anno prima che i terroristi risorgessero e diventassero una forza temibile sul territorio iracheno - di colpire al cuore le ambizioni dei neoconservatori». Dieci mesi più tardi, The Economist riprese lo stesso tema: costretti a confrontarsi quotidianamente con un bilancio in costante aumento di morte e distruzione «anche gli stessi neocon stanno cominciando a nutrire seri dubbi». Certo, alcuni neocon possono effettivamente avere dubbi, ma tra i più risoluti ci sono proprio coloro - in particolare il presidente degli Stati Uniti - che detengono il potere di decidere se l' America debba continuare a inseguire il sogno neoconservatore. Un' attenta lettura delle effettive affermazioni dei più eminenti esponenti dei neocon porta alla conclusione che la politica estera che sostengono, una parte della quale è stata fatta propria dall' amministrazione Bush in risposta all' attacco subito dall' America l' 11 settembre 2001, è meno radicale, e certamente meno innovativa, di quanto in genere si ritenga. Sebbene i neocon siano orgogliosi di essersi lasciati alle spalle in più di un modo il consenso del periodo posteriore alla guerra fredda, è bene ricordare che le loro idee hanno profonde radici nella storia degli Usa e della Gran Bretagna, oltre che nelle linee di condotta perorate da presidenti americani quali John Quincy Adams e Theodore Roosevelt, nonché dai primi ministri britannici Margaret Thatcher e Tony Blair. Comunque, vogliamo premettere alla nostra discussione sul neoconservatorismo un' importante avvertenza. Come fa notare il politologo David Brooks, «se avete mai letto una frase che inizia con "i neocon ritengono", c' è una possibilità pari al 99,44 percento che ogni altra affermazione che segue sia totalmente infondata». Non esiste infatti qualcosa di definibile come «movimento» neoconservatore, quantomeno non nel senso di «organismo composto da persone con un obiettivo comune» che il dizionario attribuisca a questo termine. Esiste però quello che Irving Kristol, «padrino» riconosciuto del neoconservatorismo, definisce come «il convincimento neoconservatore», oppure quella che Joshua Muravchik chiama «una sensibilità neoconservatrice ben distinta», o anche ciò che Norman Podhoretz ritiene una «tendenza neoconservatrice». Podhoretz afferma che il neoconservatorismo «non ha mai avuto o aspirato ad avere il tipo di organizzazione centrale caratteristico di un movimento». Questa avversione di un gruppo che «condivide idee comuni su molti temi» ad etichettare il neoconservatorismo come «movimento» deriva almeno in parte dalla consapevolezza delle differenze non trascurabili che dividono alcuni dei suoi principali esponenti su certi argomenti cruciali. In parte, però, deriva dal fatto che molti di questi esponenti hanno trascorso la loro intera vita a inveire contro un gran numero di cosiddetti «movimenti» - il movimento per la pace, il movimento comunista, il movimento ambientalista e molti altri che vedono con orrore ogni deviazione dall' ortodossia da parte dei propri membri -. Gli intellettuali noti come «neocon», un' etichetta piuttosto ampia e imprecisa, apprezzano il proprio individualismo. È quindi impensabile che possano riunirsi e formare un monolite ideologico. Tutto ciò suggerisce che l' etichetta di «conventicola», appiccicata al neoconservatorismo da alcuni dei suoi critici più militanti, sia decisamente infondata. Popolare in Europa e nei media liberal degli Stati Uniti, quest' idea viene ventilata più o meno nel modo seguente: un piccolo gruppo di intellettuali, fra cui numerosi membri della futura amministrazione Bush, hanno segretamente cospirato per anni allo scopo di sostituire la tradizionale politica estera multilateralista dell' America, pesantemente condizionata dal consenso delle Nazioni Unite, con un approccio agli affari internazionali ben più unilaterale, espansionista e muscolare. Si dice che il centro di questa supposta società segreta sia il Project for the New American Century (PNAC), un' organizzazione fondata da William (Bill) Kristol nel 1997 per «promuovere la leadership globale americana». Nessuno può dubitare che il PNAC abbia contribuito in modo significativo alla definizione della politica estera dell' amministrazione Bush. Tuttavia, suggerire che faccia parte di una qualche iniziativa segreta per rovesciare la tradizionale politica estera americana è semplicemente falso. In democrazia, la linea di politica estera di un governo si fonda su proposte politiche di valore e convincenti. Alcuni tra i neocon (non tutti) che hanno prestato il proprio contributo al lavoro del PNAC, hanno riflettuto a lungo sui problemi di politica estera. La riflessione ha prodotto dibattiti interni, pubblicazioni di grande valore e prolusioni destinate ai raduni dei più importanti opinion-maker del Paese. Infine, sono stati fatti circolare memorandum che invitavano l' America ad adottare un nuovo approccio alla politica estera, un atteggiamento più adatto ad affrontare con successo le nuove minacce nate dopo la fine della Guerra fredda. Questa estenuante battaglia pubblica per conquistare i cuori e le menti dell' establishment della politica estera statunitense, ben difficilmente può essere considerata alla stregua delle classiche trame occulte per le quali i cospiratori di tutto il mondo sembrano nutrire una naturale predilezione. Il mito di una società segreta non è il solo inventato dalla critica avversa ai neocon. Secondo un' altra di queste fantasiose invenzioni, la politica estera neoconservatrice sarebbe stata proposta da intellettuali ebrei il cui interesse primario si focalizzerebbe sulla sopravvivenza e l' espansione di Israele piuttosto che sulla sicurezza degli Stati Uniti. Steve Bradshaw, conduttore del prestigioso programma televisivo Panorama della BBC, ha informato il suo pubblico di «aver individuato un tema ricorrente tra gli addetti ai lavori di Washington. Alcuni dei principali neocon sarebbero fortemente pro-sionisti e sarebbero intenzionati a rovesciare i regimi dittatoriali del Medio Oriente più per dare una mano a Israele che per difendere gli interessi degli USA». Naturalmente, è legittimo essere in forte disaccordo con la politica americana nei confronti di Israele. Lo è molto meno accusare i neocon ebrei di slealtà e di aver complottato per spingere gli USA a mantenere l' amicizia con Israele a prescindere dai loro reali interessi. Questo mito - il preteso dominio ebreo dell' ambiente neoconservatore e la sottomissione dei neocon agli interessi di Israele anche quando questi cozzano con quelli degli Stati Uniti - è piuttosto enigmatico, dato che né l' ex segretario di Stato Colin Powell né l' attuale, Condoleezza Rice, i principali consiglieri del presidente in tema di politica estera, sono ebrei. D' altra parte non lo sono neppure il vicepresidente Dick Cheney (sebbene venga ritenuto il principale sostenitore della decisione di detronizzare Saddam), Donald Rumsfeld (il Segretario alla Difesa) o George Tenet (sino a poco fa direttore della Cia). La presunta egemonia ebraica risulta poi ancora più inverosimile quando si prende in esame lo stretto legame della destra religiosa cristiana con il governo Bush. I leader della destra religiosa - evangelici e cattolici - si definiscono, con una certa appropriatezza, neoconservatori e premono perché l' amministrazione si pronunci su questioni come, ad esempio, l' aborto. Le posizioni della destra religiosa su questi problemi sono del tutto invise alla stragrande maggioranza dell' elettorato ebreo che, comunque, alle presidenziali del 2000 si è schierato in massa per l' avversario di George W. Bush. Quindi, dato che la destra religiosa rappresenta il fulcro del sostegno politico di Bush mentre i votanti ebrei sono secondi solo agli afroamericani nella loro lealtà ai suoi oppositori politici, la tesi che sono gli ebrei a decidere la politica estera del governo diventa piuttosto difficile da sostenere. Un' altra fonte di costanti scontri sono gli obiettivi della politica estera dei neocon. Kristol e Kagan ritengono irrealistico presumere che i cattivi soggetti possano redimersi e auspicano una nuova politica di «cambiamenti di regime». Essi fanno comunque notare che una simile politica non richiederebbe agli Stati Uniti di «inviare truppe a rovesciare tutti i regimi dittatoriali del mondo». Nel caso dell' Iraq, gli autori si rammaricano che durante la prima Guerra del Golfo la coalizione non sia arrivata sino a Bagdad «per esautorare Saddam Hussein... mantenendo truppe USA in Iraq abbastanza a lungo da assicurare l' avvento di un regime più favorevole». Anche il lettore meno attento all' attuale politica americana si renderà conto che questo parere è alla base delle recenti decisioni dell' amministrazione Bush. La dottrina della prevenzione, l' esigenza di sbarazzarsi dei cosiddetti «stati-canaglia» e altri ingredienti del neoconservatorismo hanno in effetti radici profonde nella storia americana e, come puntualizza Michael Gove nel suo saggio, sono state fatte proprie dai leader britannici (Canning, Palmerston, Churchill e Thatcher) ben prima della loro adozione da parte di George W. Bush (che ha a malapena accennato alla sua possibile politica estera durante la sua prima campagna elettorale). Le radici della politica estera di Bush, e in particolare la sua enfasi sulla prevenzione, possono persino essere fatte risalire al Secondo trattato di John Locke (1689), nel quale il filosofo sosteneva che il popolo, per difendersi, deve agire prima che «sia troppo tardi e il male sia divenuto incurabile». John Lewis Gaddis, della Yale University, ritiene che la politica estera del presidente Bush rappresenti una deviazione disastrosa rispetto alla politica multilateralista seguita sin dai tempi di Franklin D. Roosevelt. Cionondimeno Gaddis ha precisato che molte delle dottrine su cui si basa l' attuale politica del presidente possono vantare antecedenti storici in America. Nei primi anni del XX secolo, Theodore Roosevelt ideò e propugnò infatti una politica che differisce ben poco da quella attuale di George W. Bush, con l' eccezione che la massima attenzione di Roosevelt si appuntava sull' emisfero occidentale: «Una delinquenza cronica, o un' impotenza che dia luogo a un generale allentamento dei vincoli della società civilizzata, potrebbero... in ultima analisi richiedere l' intervento di qualche nazione civilizzata, e nell' emisfero occidentale... potrebbero costringere gli Stati Uniti, per quanto riluttanti... a esercitare un ruolo di polizia internazionale». I neoconservatori americani hanno eletto a proprio eroe il presidente che esortava gli americani a parlare a bassa voce e a portare con sé un grosso randello. Un decennio dopo la dichiarazione di Teddy Roosevelt, entrò alla Casa Bianca un altro precursore dei neocon, Woodrow Wilson. Wilson dichiarò al mondo che l' America aveva occupato Cuba: «Non per annetterla ma per offrire a quella inerme colonia l' opportunità di essere libera», una dichiarazione simile a quella pronunciata da George W. Bush e Tony Blair molti anni dopo come una delle giustificazioni per detronizzare Saddam Hussein. Come gli attuali neocon, Wilson cercava di cambiare il mondo, o parti di esso, in base all' immagine democratica dell' America. La sua richiesta di «autodeterminazione», un concetto che egli non definì mai concretamente, riecheggia nella richiesta di Bush e Blair di libere elezioni che consentano agli iracheni di determinare il proprio futuro. Il neoconservatorismo è una forma di «wilsonianismo» con una grossa differenza. Wilson credeva che i suoi obiettivi potessero essere ottenuti affidandosi al potere persuasivo delle istituzioni multinazionali quali la Lega delle Nazioni. I neocon non sono d' accordo. Essi ritengono che sia possibile diffondere la democrazia esautorando i regimi dittatoriali che minacciano la sicurezza americana e l' ordine mondiale usando la forza militare se ogni altra iniziativa si dimostrasse inefficace. Secondo i neocon, la caduta del regime va seguita da una fase di riedificazione della nazione. I neocon preferiscono affidarsi a varie «coalizioni di volonterosi», piuttosto che alle Nazioni Unite. Come puntualizzava Margaret Thatcher nel discorso tenuto a Fulton nel Missouri, l' Onu «non ci ha garantito la prosperità e neppure la sicurezza». La posizione dei neocon si può riassumere in questo modo: diplomazia ove possibile, forza in caso di necessità; accordo con l' Onu ove possibile, coalizioni ad hoc o azione unilaterale in caso di necessità; attacchi preventivi se sono ragionevoli per anticipare azioni ostili da parte dei nemici dell' America. I neoconservatori ritengono che la democrazia e la libertà siano la soluzione ideale per tutti gli abitanti del pianeta. Ma vanno oltre il semplice desiderio di giustizia e sostengono che la diffusione della democrazia sia per l' Occidente il miglior sistema per garantire l' avvento di un ordine mondiale pacifico e prosperoso. Inoltre, i sostenitori neocon di una politica estera USA più muscolare, dichiarano che in tutto il mondo le popolazioni condividono i valori occidentali e desiderano la libertà. Blair, un non-neocon che i neocon hanno elevato a uno status politico precedentemente accordato soltanto a Winston Churchill e Margaret Thatcher, nel suo discorso al Congresso afferma: «I nostri non sono soltanto i valori dell' Occidente, sono valori universali dello spirito umano». I neocon in generale non si affidano però esclusivamente alla forza militare per difendere gli interessi americani. Essi vogliono che l' America assegni risorse adeguate alle proprie forze armate per consentire alla nazione di esercitare una forza schiacciante ovunque e in qualsiasi momento sia necessario per garantire la propria sicurezza. Di conseguenza, hanno criticato apertamente l' amministrazione Bush per non aver inviato truppe sufficienti a proteggere efficacemente i cittadini e le infrastrutture dell' Iraq. I neocon sono comunque sufficientemente fiduciosi della solida base intellettuale della loro posizione circa l' universalità del desiderio della democrazia da essere disposti persino ad affrontare uno scontro di ideologie. Quindi più truppe, ma anche più seminari. Questa è la ragione per cui pensatori neocon come Richard Perle e Bill Kristol viaggiano ogni anno per decine di migliaia di miglia impegnandosi in dibattiti con avversari che vorrebbero negare l' esigenza dell' America a diffondere i valori democratici come parte del suo programma per la creazione di un ordine mondiale più stabile. I neoconservatori ritengono che la diffusione della democrazia sia per l' Occidente il miglior sistema per garantire l' avvento di un ordine mondiale pacifico e prosperoso.
IRVIN STELZER - Direttore del Centro di politica economica del Hudson Institute. Politologo, economista ed esperto di strategie di marketing, Irwin Stelzer è presidente del Hudson Institute' s Center for Economic Policy. È inoltre editorialista del Sunday Times, del Courier Mail e del Weeekly Standard. Tra i suoi saggi, Selected antitrust cases, The antitrust laws e The United States, a United Europe, and the United Kingdom: three characters in search of a policy. L' articolo qui pubblicato è tratto dall' introduzione che Stelzer ha scritto per l' antologia da lui curata, The Neocon Reader. Uscito a gennaio negli Stati Uniti, il volume disegna l' albero genealogico «neocon», con una serie di interventi da Condoleezza Rice a Margaret Thatcher, Tony Blair, Richard Perle e Irving Kristol. The Neocon Reader vuol sfatare il mito dei neoconservatori come un movimento coeso e radicale o cabala di estremisti, presentando invece un gruppo eclettico di intellettuali e politici, uniti da questioni fondamentali ma che possono altresì dividersi su altre.

mercoledì, febbraio 16, 2005

Al via il protocollo di Kyoto

Ecco il parere dell'istituto Bruno Leoni:

“Da domani saremo tutti un po’ più poveri”: lo afferma Carlo Stagnaro, direttore del Dipartimento Ecologia di mercato dell’Istituto Bruno Leoni, in relazione all’entrata in vigore del protocollo di Kyoto. “Le basi scientifiche del trattato sul clima sono fragili – prosegue Stagnaro – ma, se anche non fosse così, il protocollo sarebbe comunque un passo falso”. L’iniziativa unilaterale dell’Unione Europea “rischia di appesantire ulteriormente la zavorra che impedisce alla nostra economia di decollare”. Inoltre, “tagliare le emissioni noi soli, rinunciando a un’azione globale, concertata con Stati Uniti, India, Cina e altri grossi emettitori, è una mossa a impatto zero sul clima”. “Gli europei – conclude Stagnaro – assaggeranno il costo di Kyoto quando riceveranno la bolletta elettrica o andranno a fare il pieno. Tutti queste sacrifici serviranno solo a rendere più ghiotto il bottino, economico e politico, dei gruppi di pressione che hanno fatto del protocollo la loro bandiera”.

Fassino e D'Alema dovrebbero rileggersi la risoluzione 1546 dell'ONU

Al direttore - A Repubblica Massimo D’Alema ha detto che “nessuno ha chiesto a chi non ha condiviso la guerra di inviare i propri soldati in Iraq. Non lo ha chiesto Bush, non lo chiede Kofi Annan”. E’ falso. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu (risoluzione 1546 approvata l’8 giugno del 2004) al punto 15 “richiede agli Stati membri e alle organizzazioni regionali e internazionali di contribuire all’assistenza della forza multinazionale, comprese le forze militari, come stabilito in accordo con il governo dell’Iraq, per andare incontro ai bisogni della popolazione irachena di sicurezza e di stabilità, di assistenza umanitaria e per la ricostruzione, e di appoggiare gli sforzi dell’UNAMI, la missione Onu di assistenza all’Iraq”. Non penso che l’ex leader della sinistra non conosca l’argomento. Penso che al solito creda di essere il Migliore.
Christian Rocca

martedì, febbraio 15, 2005

Cosa chiedere di più?

Di seguito alcuni punti della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu 1546 che a suo tempo (come potete ben leggere) stabiliva il percorso da seguire e invitava tutte le nazioni dell'Onu (ma proprio tutte) ad aiutare, anche inviando contingenti militari, il processo di democrazzizazione e di pacificazione dell'Iraq.
Oggi Fassino sul Corriere della Sera scrive che "la questione all'ordine del giorno è come la comunità internazionale accompagna e favorisce la accelerazione della transizione democratica in Iraq" e poi che "serve una «strategia per il dopo elezioni» con un impegno della comunità internazionale che superi le fratture prodotte dalla guerra irachena e assegni all'Onu un ruolo di guida nell'accompagnare la transizione". Ma tutto questo caro Fassino sta già scritto da tempo nella risoluzione dell'Onu!

- Riconosce che il sostegno internazionale al ripristino della stabilità e della sicurezza è essenziale per il benessere della popolazione dell'Iraq e per permettere a tutte le parti in causa di svolgere il proprio lavoro nell'interesse della popolazione dell'Iraq, e accetta di buon grado i contributi dei Paesi Membri a tal proposito.

- Saluta la disponibilità della forza multinazionale a proseguire gli sforzi per contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità in Iraq a sostegno della transizione politica in vista soprattutto delle prossime elezioni, e a fornire condizioni di sicurezza alla presenza Onu in Iraq, secondo quanto descritto nella lettera del 5 giugno 2004 dal segretario di Stato americano al Presidente del Consiglio di Sicurezza allegata a questa risoluzione

4. Appoggia la tabella di marcia proposta per la transizione politica dell'Iraq verso un governo democratico, di cui fanno parte: (a) formazione del governo sovrano ad Interim dell'Iraq che assumerà responsabilità e autorità di governo entro il 30 giugno 2004; (b) convocazione di una conferenza nazionale che rifletta la diversità della società irachena; e (c) convocazione se possibile entro il 31 dicembre 2004, e in ogni caso non oltre il 31 gennaio 2005, di elezioni democratiche dirette per un'Assemblea Nazionale Transitoria che avrà, fra le altre cose, la responsabilità di formare un governo Transitorio dell'Iraq e di redigere una costituzione permanente per l'Iraq che porti a un governo costituzionalmente eletto entro il 31 dicembre 2005;

7. Decide che nel mettere in atto, se le circostanze lo permettono, il loro mandato per assistere il popolo e il governo iracheno, il rappresentante speciale del Segretario generale (attualmente Lakhdar Brahimi) e la missione Onu di assistenza in Iraq (UNAMI), come richiesto dal governo dell’Iraq:
a) giocheranno un ruolo fondamentale nel preparare una conferenza internazionale, nel mese di luglio 2004, che selezionerà i membri di un Consiglio consultivo; consiglieranno e appoggeranno il governo ad interim dell’Iraq, la commissione elettorale indipendente dell’Iraq e l’assemblea nazionale di transizione sul processo che porterà alle elezioni libere; promuoveranno il dialogo e la costruzione del consenso sulla stesura di una bozza di Costituzione nazionale del popolo iracheno;
b) e inoltre: consiglieranno il governo iracheno sullo sviluppo di efficaci servizi civili e sociali; contribuiranno al coordinamento e al compimento della ricostruzione, dello sviluppo e dell’assistenza umanitaria; promuoveranno la protezione dei diritti umani, la riconciliazione nazionale, e una riforma legale e giudiziaria per rafforzare il ruolo della legge in Iraq; consiglieranno e assisteranno il governo nella prima pianificazione per la realizzazione di un censimento

9. Rileva che la presenza della forza multinazionale in Iraq è una richiesta dell'entrante governo ad interim dell'Iraq e ribadisce quindi l'autorizzazione alla forza multinazionale sotto comando unificato stabilita ai sensi della risoluzione 1511 (2003), che è in rapporto con le lettere allegate a questa risoluzione;

12. Decide inoltre che il mandato della forza multinazionale sarà rivisto su richiesta del governo dell’Iraq, o a 12 mesi dalla data della risoluzione, e che questo mandato scadrà al momento del completamento del processo politico descritto nel paragrafo 4 sopra citato, e dichiara che questo mandato verrà revocato anche prima se richiesto dal governo dell’Iraq;

15. Richiede agli Stati membri e alle organizzazioni regionali e internazionali di contribuire all’assistenza della forza multinazionale, comprese le forze militari, come stabilito in accordo con il governo dell’Iraq, per andare incontro ai bisogni della popolazione irachena di sicurezza e di stabilità, di assistenza umanitaria e per la ricostruzione, e di appoggiare gli sforzi dell’UNAMI, la missione Onu di assistenza all’Iraq.

32. Decide di occuparsi attivamente della questione.

Antiamericanismo

- Angelo Panebianco sul Corriere della Sera (15/2/2005)

Non sappiamo se oggi ci saranno defezioni nel centrosinistra al momento del voto sul rifinanziamento della missione italiana in Iraq. Sappiamo però che la scelta di dire no alla prosecuzione di una missione che si svolge sotto mandato Onu e alla quale, dopo la svolta delle elezioni irachene, è impossibile attribuire altri scopi se non quello di un contributo al cammino di una nascente democrazia, prefigura, meglio di qualunque «programma», la probabile politica estera di un eventuale, futuro, governo di centrosinistra. Mentre i precedenti voti negativi del centrosinistra sulla missione in Iraq erano giustificabili alla luce della sua opposizione alla guerra, in questo voto negativo, per il momento in cui viene espresso, non si può ravvisare altra motivazione se non quella di un prezzo che i riformisti devono pagare all'antiamericanismo della componente massimalista dell'alleanza.
Tre sono le ragioni per le quali, se ci sarà un nuovo governo di centrosinistra, la sua politica estera sarà molto diversa da quella che il centrosinistra tenne nel quinquennio 1996-2001. In primo luogo, a Washington non c'è più il democratico Clinton, con cui il centrosinistra di allora riteneva di avere affinità, ma quel repubblicano Bush che le piazze pacifiste hanno accusato per mesi di essere una belva assetata di sangue e di petrolio. In secondo luogo, è cambiata la congiuntura internazionale. All'epoca «di pace», costellata solo di crisi locali, della presidenza Clinton è seguita, con l'11 settembre 2001, la fase di guerra a tutto campo (fra Occidente e islamismo radicale) in cui tuttora viviamo. In terzo luogo, è cambiato il ruolo di Rifondazione comunista. Nel 1996 Rifondazione appoggiava dall'esterno l'Ulivo. Se il centrosinistra vincerà, Rifondazione sarà invece parte integrante del governo.
Si dice che la presenza di Rifondazione nel governo di centrosinistra non procurerà più problemi alla sua futura politica estera di quelli che procura oggi la Lega al centrodestra. Non è forse la Lega in disaccordo con Berlusconi su questioni importanti (Costituzione europea, ingresso della Turchia nella Ue)? Questa tesi non coglie la vera natura del problema. Il centrodestra può tollerare la dissidenza leghista così come il centrosinistra potrà tollerare la dissidenza di Rifondazione, poniamo, sulla Costituzione europea. Il problema «intrattabile» è un altro: è rappresentato dalle questioni che, in qualche modo, mettono in gioco l'uso della forza in missioni all'estero. E' su queste questioni che il centrosinistra incontrerà grandi difficoltà a «gestire» Rifondazione. Con o senza copertura dell'Onu: come Bertinotti ha infatti già chiarito, se l'Onu non si oppone agli Stati Uniti, vuol dire che esso è «sotto ricatto».
Il fatto è che Rifondazione ha come referente quella frazione di opinione pubblica che considera l'uso della forza militare un vero e proprio «tabù». Pertanto, si opporrà sempre a missioni militari in teatri di guerra, quali che ne siano le finalità, anche a costo di chiedere la rottura della solidarietà fra l'Italia e le altre democrazie occidentali. Per giunta, Rifondazione è l'ultimo partito ideologico. Non può essere tacitato con posti di sottogoverno. E' un'altra la cosa che il centrosinistra gli dovrà concedere: l'antiamericanismo come elemento «di sfondo» della politica estera italiana. Senza il quale si sfalderebbe la constituency , la base elettorale e di partito, di Rifondazione.
Il voto di oggi dirà tutto ciò che c'è da sapere sul probabile futuro di tormenti e di umiliazioni che aspetta i riformisti del centrosinistra.

E io che credevo...

E io che credevo che almeno i libertari (soprattutto i libertari) si dichiarassero relativisti e lasciassero stare il solito discorso sui valori giudaico-cristiani (da difendere) dell'Occidente. E invece non è così. Certo, a quanto pare ci sarebbero libertarians e libertarians ed io parlo dei paleolibertari (secondo una definizione di Piombini) che si rifarebbero al pensiero di Rothbard. Insomma che anche una corrente libertaria facesse una crociata anti-relativista proprio non me lo aspettavo. Lo stesso Piombini definisce i left-libertarians come i nostri Radicali e allora mi chiedo: i Radicali sono relativisti?
Cos'è il relativismo? Il Presidente Pera nel suo libro (scritto insieme al cardinale Ratzinger) dice che il relativismo imperante non permette più di dare un valore alle cose, di dire "questo è meglio di quello". Quindi Pera afferma che i relativisti non possono dire che la democrazia è meglio della teocrazia, che la costituzione è meglio della sharia, ecc. Ora mi chiedo: il relativismo fa dire veramente questo? Non mi sembra che i Radicali dicano che la democrazia è una delle tante forme di governo possibile, equivalente a tante altre. Allora i Radicali sono pure loro anti-relativisti? Dalle parole di Bandinelli (dette nella sua relazione di sabato al congresso di Anticlericale.net) sembrerebbe proprio di no. E allora? E allora esistono quelli che vengono chiamati diritti universali dell'uomo, delle libertà che stanno alla base di tutto. Forse siamo dalle parti della dottrina giusnaturalista, non so, ma credo che queste libertà (di parola, di pensiero, di religione, ecc) siano riconosciute da tante carte costituzionali e possano essere considerate veramente universali e non solamente valori occidentali. Se riconosciamo il diritto di tutte le persone di professare la propria religione, il proprio pensiero, ecc siamo relativisti o no? Credo si scambi il relativismo con la tolleranza. I veri relativisti forse sono quelli che non credono che esistano delle libertà universali insite nell'uomo. Ma se diamo per esistenti tali libertà allora dobbiamo concedere il rispetto a tutte le idee e le azioni che non vadano contro queste libertà.

lunedì, febbraio 14, 2005

Vincono gli sciiti

Vittoria della alleanza sciita (ma nessuna maggioranza assoluta), al secondo posto la alleanza curda. Da segnalare poi che l'affluenza alle urna si è avvicinata al 60% (58,3% per la precisione) smentendo i soliti disfattisti che prevedevano dati molto inferiori. I soliti disfattisti che prevedono la nascita di una teocrazia e magari anche l'inizio di una guerra civile. Ma anche in questo caso temo si sbaglieranno. Ecco cosa dice a tal proposito Magdi Allam oggi sul Corriere della Sera

sabato, febbraio 12, 2005

Luca Sofri a proposito di Prodi e dei Radicali

I radicali hanno deciso di stare col centrosinistra, Prodi ancora no
"La solita malferma esibizione di severità di Romano Prodi di oggi - “Adesso basta battute”, ha detto ai radicali fuggendo spaventato dal loro bluff: e subito dopo ha peraltro fatto un paio di battute - richiede che si dica qualcosa su quest’uomo. Che vede la propria leadership dell’Ulivo - o come si chiama adesso - come una specie di sua generosa elargizione alle folle disperate e plaudenti. E che quindi chiede a chiunque patenti di sottomissione a un programma che non c’è se non nei suoi umori mattutini.
Quando Prodi dice - come ha detto - “sono contrario ai referendum sulla legge 40”, questo obbedisce a un programma comune dei partiti che lo sostengono? Si è visto di no.
Quando Prodi dice - come ha detto - “matrimonio e famiglia possono riguardare solo un uomo e una donna”, esprime una posizione che è nel programma comune dei partiti che lo sostengono? Si spera di no, e comunque no, non esiste una posizione univoca in questo senso.
Allora con quale limpidezza si pretende di chiedere ai radicali una disciplina preventiva e inderogabile a un fantomatico “programma”, quando questo “programma” non solo è lungi dal definirsi univocamente e universalmente - sarebbe impossibile - ma lo stesso leader della coalizione ritiene di comunicare un giorno sì e uno no sue posizioni personali del tutto disallineate da una visione comune?" (www.wittgenstein.it)

venerdì, febbraio 11, 2005

Quel genio di Pannella!

Lo confesso: Marco Pannella è un genio! Ogni volta rimango stupito dalle posizioni che sostiene... in un primo tempo mi viene da dire "ma che cazzo dice?!" poi, rifletto un attimo, e cambio posizione "ha proprio ragione". Anche questa volta tanto di cappello a Marco Pannella. Da un po' di tempo gira la voce che siano i radicali a rilanciare continuamente, a porre sempre nuove condizioni, ad aver creato una vera e propria asta. Allora Pannella dice "caro Prodi, accettiamo le tue condizioni, accettiamo il programma de L'Unione (che non esiste)". E' evidente che i radicali si dichiarano pronti ad un accordo, ora risulterà altrettanto evidente che sono i due poli (i corleonesi e i palermitani) a non voler nessun accordo coi radicali. Ma quale asta! Non chiediamo nulla solo ospitalità... siete voi a non volerci!

giovedì, febbraio 10, 2005

E se le armi atomiche finissero nelle mani sbagliate?

Ecco, ci sono finite!

Christian Rocca e la sindrome Socci!!!

Dal blog di Christian Rocca

Sindrome Socci/2
Ho letto l'articolo di Mario Giordano sul Giornale in favore dell'accordo radicali-Polo e mi è scattato un non so che in favore di un accordo con il centrosinistra.
9 febbraio

Sindrome Socci
Ho letto questo articolo sugli ambientalisti americani che chiedono alla Apple di studiare un iPod ecologico perché nel 2007 le batterie di 4 milioni e mezzo di iPod moriranno e avranno un alto impatto ambientale e mi è venuta voglia di asfaltare il Lago di Como.
9 febbraio

3° congresso dell'associazione Anticlericale.net

ore 13.30-18.30, Congresso di Anticlericale.net

ore 18.30, fiaccolata per via santo stefano, via farini, via d'azeglio, piazza maggiore

ore 20.30, comizio finale

ore 21.30, cena anticlericale al ristorante (napoletano) SCALINATELLA, via fossalta, sotto le finestre del nostro vescovo bolognese Caffarra, per brindare alla sua salute.

Il costo a persona sarà di 25 euro per 1 antipasto, 2 primi, 1 secondo di carne e 1 vegetariano, contorni alla griglia, dessert, acqua, vino, liquori.


Prenotate la cena entro il 10 febbraio telefonando (339-8150231) o inviando una mail a radicalibologan@yahoo.it
Monica Mischiatti, segretaria di RadicaliBologna.it

Parole in libertà

Proprio non ce la faccio! E' qui davanti e chiede solamente di essere catalogato ma le mie mani si rifiutano di aprirlo. Sto parlando del nuovo libro di Giorgio Bocca "L'Italia l'è malada". Vabbè, apriamolo insieme. Toh! La casualità ha voluto che aprissi il libro a pagina 123, il titolo del capitolo è "Marziani e venusiani" e il nostro super-bollito Giorgio Bocca parla proprio di Bob Kagan, leggiamo... solo qualche riga e già ci si imbatte nel suo cavallo di battaglia: i neoconservatori hanno architettato una guerra in Iraq per accontentare l'industria petrolifera!!! Io mi rifiuto di catalogarlo, mi rifiuto!
Cambiando campo e personaggio ora vorrei dire due parole anche allo scrittore Valerio Evangelisti. Tempo fa lo contattati per organizzare un incontro qui in biblioteca, mi disse che aveva smesso di partecipare ad incontri pubblici... ora vedo che partecipa non a uno ma a due incontri a Reggio Emilia, che delusione!

mercoledì, febbraio 09, 2005

Diplomazie al lavoro

In cerca del nuovo ordine
di Maurizio Molinari (La Stampa del 9/2/2005)

L’accordo di Sharm el-Sheikh e il discorso di Condoleezza Rice a Parigi disegnano all’orizzonte un possibile nuovo ordine internazionale. L’intesa sul cessate il fuoco raggiunta fra Ariel Sharon ed Abu Mazen sulla rive del Mar Rosso apre la strada alla fase finale del negoziato israeliano-palestinese, alla nascita dello Stato di Palestina ed alla piena accettazione di Israele da parte dei Paesi arabi...
L’intervento del segretario di Stato di fronte alla platea della facoltà di Scienze Politiche di Parigi rilancia il patto transatlantico, chiedendo agli alleati di «guardare al futuro» e «condividere i propri valori con gli altri popoli» che aspirano alla libertà. La simultaneità dei due eventi è stata voluta dalla Casa Bianca per creare un «momentum diplomatico» che culminerà con l'arrivo del presidente George W. Bush in Europa il 20 febbraio.
Forte del successo ottenuto a Baghdad con la celebrazione delle elezioni, la diplomazia americana opera su un doppio binario: spingere il Medio Oriente a ritmi accelerati verso pace, riforme e democrazia; rilanciare i compiti della Nato guardando ben oltre i confini geografici del Vecchio Continente. Il fine è trasformare l'alleanza euroamericana nel laboratorio di una rivoluzione democratica globale che si propone di lottare contro tirannie, terrorismo, armi di distruzione, povertà e malattie come l’Aids. Se la regione del Grande Medio Oriente, fra gli oceani Atlantico ed Indiano, è il terreno scelto per la resa dei conti con gli ultimi dittatori, l'America vede nell'Europa il partner necessario per affrontare le responsabilità della guerra al terrorismo in quanto il conflitto ha tempi lunghi ed i pericoli incombono: l’opposizione dei fondamentalisti di Hamas all'intesa di Sharm el-Sheikh, le minacce degli Hezbollah contro Abu Mazen, le autobombe di Abu Musab al-Zarqawi a Baghdad, l’ancora imprendibile Osama bin Laden, la vitalità di Al Qaeda nella penisola arabica e la corsa dell’Iran all’arma nucleare sono un'agenda ad alto rischio.
Se Bush nei due discorsi di inizio mandato ha indicato nell’«espansione della libertà» l'obiettivo strategico di questa generazione, in risposta alla sfida militare subita con gli attacchi dell'11 settembre 2001, è il segretario di Stato che con la sua maratona aerea di sette giorni in dieci nazioni ha iniziato a gettare le fondamenta del nuovo assetto internazionale, raffigurato dalla stretta di mano Sharon-Abu Mazen, chiedendo ad un'«Europa forte» di fare la propria parte, di essere protagonista alla costruzione degli equilibri del XXI secolo.
Per raccogliere la sfida l'Europa dovrà dimostrare di condividere con l’America qualcosa che va oltre l'interesse comune di lasciarsi alle spalle le ferite irachene. Al di là della politica ciò che infatti sta dietro le mosse della Casa Bianca è la convinzione che «la Storia non si fa da sola ma - come ha detto la Rice ieri a Parigi - viene fatta dagli uomini». E' stata proprio la scommessa americana sulla possibilità di trasformare lo status quo che ha portato al rovesciamento dei taleban e di Saddam Hussein, all’uscita di scena di Yasser Arafat ed alla sconfitta dell'Intifada armata.

martedì, febbraio 08, 2005

Sul comodino di Bush...

Cosa legge Bush? Oltre all’ultimo successo di Tom Wolfe, Sono Charlotte Simmons , che racconta le vicende di una studentessa, il presidente ha sul comodino anche The Case for Democracy di Sharansky e George Washington , di Joe Ellis

Fukuyama - Esportare la democrazia. State-building e ordine mondiale nel XXI secolo

Robert Kagan entusiasta di Fukuyama
Così l'autore di «Paradiso e potere» a proposito dell'ultimo libro di Francis Fukuyama appena edito da Lindau: «Brillante, equilibrato, acuto. Fukuyama analizza quella che oggi è forse la questione politica più importante. Un saggio obbligatorio per l’Amministrazione Bush, per i suoi denigratori e per i leader politici di tutto il mondo.»

Panebianco in prima pagina sul Corriere a proposito di Pannella

Continuano ad avere grande spazio i Radicali sul Corriere di Mieli. Oggi è Panebianco a scriverne (e il trattamento come sempre è buono).
Ieri Pannella era ospite di Ferrara nella trasmissione Ottoemezzo (lo stesso Ferrara su Il Foglio ha dato direttive chiare sul trattamento da riservare ai Radicali: bastonate!. Così dopo l'articolo su Capezzone di qualche giorno fa oggi ce n'è un altro dello stesso tenore su Pannella). Questa mattina invece era il turno di Benedetto Della Vedova ospite di La7 (Omnibus). Insomma, grande risonanza da parte dei media per l'ospitalità chiesta dai Radicali. Il tempo però stringe e fra qualche giorno dovrà essere fatta la fatidica scelta: di qua o di là!

Editoriale targato elefantino contro tutti gli scettici

Il partito dei menagramo
Le nuove frontiere degli scettici: ora tocca all’islam sciita in Iraq
(il Foglio dell' 8/2/2005)

Ecco, ora c’è “l’allarme sharia”. Chi non ha mai creduto potesse accadere quello che sta succedendo oggi in Iraq, cioè un faticoso ma spedito cammino verso la democrazia, è alla ricerca spasmodica di una nuova frontiera di critiche per alimentare scetticismo e disfattismo. Oggi il menu prevede che Al Sistani voglia imporre la legge islamica...
Solo che non è vero. Come non è stato vero niente di tutto ciò che i difensori dello status quo tirannico hanno raccontato ai propri lettori ed elettori. Avevano detto che la liberazione dell’Iraq avrebbe provocato milioni di rifugiati, avevano detto che l’America stava perdendo la guerra nel deserto, avevano detto che il processo politico non sarebbe mai iniziato, avevano detto che i nuovi leader erano marionette degli americani, avevano detto che i bombaroli erano Resistenti, avevano detto che sarebbe stato un nuovo Vietnam, avevano detto che Bush avrebbe perso la Casa Bianca, avevano detto che non c’erano le condizioni per votare, avevano detto che sarebbero state elezioni-farsa, avevano detto che la democrazia non si esporta e che le piazze arabe sarebbero insorte. Ecco: lasciate per la prima volta libere di dire la loro, le piazze arabe sono insorte davvero: hanno votato “Zarqawi go home” e smentito il partito dei menagramo.
Ora gli stessi che ci hanno ammorbato con il relativismo culturale e le lodi all’Islam-religione-di-pace denunciano il pericolo che in un paese islamico la legge islamica possa entrare nella Costituzione. E’ molto probabile che anche questa previsione finisca come le altre. Sistani, infatti, chiede che le leggi del nuovo Iraq non contrastino con l’Islam. Questo dibattito peraltro c’è già stato ai tempi della Costituzione provvisoria. In quel testo “l’Islam è la religione di Stato” e “una fonte della legislazione”. Una fonte, non la fonte. Il dibattito sembra simile a quello sulle radici cristiane nella Costituzione europea più che agli scenari apocalittici del lilligruberismo nostrano. Tanto più che sia i partiti iracheni sia Sistani ribadiscono di non volere affatto uno Stato teocratico. Anche questa passerà. Poi il partito dei menagramo evocherà un asse Baghdad-Teheran ignorando che gli iraniani sono gli avversari principali della rivoluzione democratica di Sistani; annuncerà una guerra civile con i sunniti; spiegherà che i curdi sono a un passo dalla secessione e bla-bla-bla fino alla successiva smentita, ma sempre col ditino alzato.

lunedì, febbraio 07, 2005

Bush aveva ragione (è ora di ammetterlo!)

In Italia come in America tutti riluttanti nell'ammettere il successo straordinario delle elezioni irachene. Si è detto di tutto per screditarle: elezioni fasulle, elezioni che portano alla guerra civile, elezioni che non risolvono nulla, ecc. Newsweek e New Republic dicono che in Iraq non c'è alcuna democrazia liberale. A loro e a tantissimi altri rispondono Bob Kagan e Bill Kristol nell'editoriale dell'ultimo numero di Weekly Standard.
"But, the fact is there can be neither democracy nor liberalism without elections".

Reggiolo caput mundi!

Diamo un taglio un poco cronachistico e raccontiamo in breve cosa è successo in questo weekend reggiolese. Sabato abbiamo avuto il piacere di ospitare in biblioteca Alberto Simoni, autore del libro G.W. Bush e i falchi della democrazia (pubblicato da un minuscolo editore di Reggio Calabria che nel suo catalogo vanta lo straordianrio volume Una storia amaranto sugli ultimi 40 anni di storia della Reggina Calcio). L'incontro ha avuto una ottima partecipazione di pubblico (e ringrazio per questo il nostro zoccolo duro che presenzia sempre alle iniziative made in biblioteca) partecipazione quantificabile in una cinquantina di unità (davvero non male). Dopo una introduzione di Simoni sulla politica estera statunitense (a suo modo di vedere schematizzabile in quattro correnti) ha focalizzato il suo discorso sulla politica estera di George junior, concludendo con "questo (Bush, ndr) non viene mica da chissà quale pianeta ma si inserisce in un certo filone di politica estera americana". Insomma, in Bush si rivedono certi aspetti del kennedismo, del wilsonismo (Woodrow, per intenderci). Il grande idealismo democratico è presente anche in Bush e non è questione solamente di democratici Vs repubblicani, la guerra è stata combattuta e voluta dagli uni e dagli altri: l'intervento in Vietnam è stato voluto dal democratico J.F.K., il quale aveva organizzato anche quel colpo di stato fallito a Cuba (vedi alla voce Baia dei Porci). Allora occorreva contenere il blocco sovietico, ora la sfida è nuova e si chiama lotta al terrorismo islamico. L'uso della forza si rende necessario in determinati contesti e periodi storici, ora va usato contro il fondamentalismo e la contrapposizione non è più tra capitalismo e comunismo, ma fra democrazie e ideologie oscurantiste e anti-occidentali. Ovvero, la versione attualizzata del vecchio Impero del male, oggi chiamato Asse del Male.
Terminato il suo discorso Simoni ha lasciato spazio alle domande, io ho cominciato ma poi il pubblico ha preso il sopravvento (e questo era prevedibile visto l'argomento). Sostenere le ragioni dell'intervento non poteva non scatenare polemiche e così si è scivolati su alcuni cavalli di battaglia della sinistra pacifista (ad esempio: "Questa è una guerra per il petrolio!!!"). Insomma tutto è andato secondo aspettative. L'intento era quello di creare dibattito, poter dire cose che da queste parti hanno scarsa cittadinanza (e in questo ci siamo riusciti), aprire un paese di 9.000 abitanti (come è Reggiolo) verso i grandi temi che riguardano il mondo intero.
Archiviato l'incontro con Simoni è arrivato il turno di un altro incontro: quello con Camillo Langone. Incontro non pubblico ma privato, svoltosi a porte chiuse tra le pareti del Rigoletto. Ma di questo incontro magari un'altra volta...

Fascisti o resistenti?

I FASCISTI DI BAGDAD

di PIERLUIGI BATTISTA (Corriere della Sera del 7/2/2005)

Sul New York Times , Thomas L. Friedman ha definito «fascisti» gli «insorti» iracheni che si oppongono con le armi del terrore al nuovo governo di Bagdad e hanno minacciato di morte chiunque partecipasse alle elezioni. Non guerriglieri, o terroristi, o «resistenti», secondo le distinzioni imposte dall'oramai stucchevole disputa terminologica che ammorba il dibattito italiano, non senza la coda di drammatiche baruffe giudiziarie...
Ma «fascisti», semplicemente e brutalmente «fascisti». Si annuncia, con l'irrompere di questa definizione, non solo la crisi di una similitudine storica entrata di prepotenza nella consuetudine linguistica, ma il tracollo di un quadro concettuale che ha sinora fornito la più frequentata chiave interpretativa della vicenda irachena, dall'inizio della guerra in poi. Se poi si aggiunge il giudizio formulato da Piero Fassino, secondo il quale «resistenti» sono piuttosto gli iracheni che si sono recati alle urne e non quelli che ne hanno promesso la morte nel caso si fossero avvalsi del loro nuovo diritto democratico, si può capire che lo straordinario esito della mobilitazione elettorale in Iraq ha traumaticamente sconvolto l'attitudine politico-culturale sin qui dominante, costringendo a ribaltare persino il senso delle vecchie analogie storiche.
L'evocazione della «Resistenza» come paradigma esplicativo della lotta armata antiamericana in Iraq non è infatti solo un richiamo simbolico o una pur logora suggestione storiografica, ma rappresenta inevitabilmente una rilettura della vicenda irachena secondo un modulo che tende a distribuire con perentorietà il ruolo dei «buoni» e dei «cattivi». Implica infatti che le truppe d'«occupazione» angloamericane incarnino un ruolo storicamente simile a quelle tedesche in Italia nel '43-45 e assegna ai «resistenti» uno status politico e morale simile a chi, in quel biennio cruciale, si batteva per la libertà, l’«indipendenza» del Paese e la cacciata dell'invasore. Il voto della scorsa settimana ha drasticamente sbriciolato questa chiave di lettura e non solo perché è comunque un'enormità paragonare ai «partigiani» i decapitatori e i seminatori di terrore che infestano l'Iraq. Questo si sapeva da prima, e infatti non sono stati molti a seguire Gianni Vattimo quando ha gratificato Al Zarkawi del nobilitante epiteto di «partigiano».
Queste elezioni abbracciate con tanto entusiasmo dal popolo iracheno hanno invece reso quel paragone improponibile perché fanno somigliare l'Iraq del 2005 sì all'Italia, ma all'Italia del dopo 25 aprile 1945 o, se si preferisce, a quella parte d'Italia progressivamente liberata («occupata», ma «liberata») dagli Alleati ancor prima del 1945. Con la conseguenza che i «resistenti» appaiono più simili ai combattenti di Salò che ai «partigiani», testimoni armati di un passato che oppongono certo «resistenza», ma resistenza alla democrazia e alla nuova libertà. «Fascisti» come li ha definiti Friedman, appunto: in senso tecnico, se si vuole, e non per attribuire connotati demonizzanti al nemico.
Con la conseguenza che questo cambio di prospettiva dovrebbe suggerire il risarcimento simbolico per quegli osservatori di sinistra, da Bernard Lewis a Oriana Fallaci, da Paul Berman a Andrew Sullivan a Fiamma Nirenstein, che nel mondo e in Italia si sono affannati a definire, in solitudine e spesso accompagnati dal dileggio, «antifascista» la guerra contro Saddam e per l'Iraq libero.


venerdì, febbraio 04, 2005

Cosa mettere in prima pagina: Fausto o le elezioni irachene?

Oggi in edicola i nuovi numeri de L'espresso e di Panorama Il secondo opta per le elezioni in Iraq, il primo invece sbatte in prima pagina il compagno Fausto Bertinotti. I dubbi si fanno sempre più insistenti: che il fatto del momento non siano le elezioni in Iraq?!

Today is the day (?)

Oggi potrebbe essere finalmente il grande giorno! Si riuniscono infatti i boss radicali per decidere del loro / nostro futuro. Riunione all'Hotel Ergife di Roma con Pannella, Bonino e Co. per dire: "si va con la GAD" / "si va con la CDL". La decisione va presa al più presto perchè tra qualche giorno andranno presentate le liste che parteciperanno alle regionali. Sinceramente non so proprio come andrà a finire, al momento sembra che l'incontro con Prodi di ieri al congresso DS abbia dato risultati importanti. Ma nulla è escluso, dal nostro Pannella tutto ci può aspettare, vedremo.