martedì, agosto 30, 2005

Il problema è l'Unione (non i Socialisti)

Anche nella rossa Emilia qualcosa si muove. A Reggio Emilia il Laboratorio per Reggio di Carlo Baldi si farà promotore della ipotizzata alleanza (a livello nazionale e locale) fra laici, socialisti e radicali. Considerando che sono uno dei pochissimi iscritti a Radicali italiani nella provincia, mi sento chiamato in causa. Continuo però a nutrire dubbi sul da farsi. Il problema non è la formazione di un nuovo soggetto politico insieme ai socialisti, il problema (secondo me) è il posizionamento all'interno dell'Unione. Certo, in questo sistema elettorale occorre allearsi con uno dei due schieramenti, rimanerne ancora fuori sarebbe sbagliato. La scelta è semplice: o con la CDL o con l'Unione. Anzi, più che una scelta dei Radicali, a questo punto, diventa una scelta di uno dei due Poli (ovvero, la scelta di accoglierci al proprio interno... neanche fossimo degli untori!). Da Pannella continuo a sentire dichiarazioni programmatiche in favore dell'eutanasia, dei PACS, della candidatura di Sofri. Nemmeno una parola sulle liberalizzazioni e sulle riforme in campo economico. Anche questa mattina Pannella (su Radio Radicale) ribadiva la centralità di un accordo con i socialisti. Le priorità rimangono legate ai diritti civili e alla laicità dell Stato. Ma le priorità dei cittadini sono le stesse? Si continua a parlare di Loris Fortuna, di aborto, di divorzio, di Zapatero ma siamo sicuri che siano gli argomenti giusti? Non è che così facendo si rimane un partito da 2%? Una élite che si batte per i diritti civili in uno Stato liberaldemocratico. Capisco e apprezzo l'operato della Bonino nel mondo musulmano per la diffusione delle libertà e dei diritti umani. In quella porzione di mondo sono la priorità e sono percepiti come la priorità anche dalle donne musulmane. Ma ha senso, in Italia e in questo preciso momento storico, puntare tutto sulla difesa dei diritti civili, sulla separazione fra Stato e Chiesa e sui fasti dei tempi andati? Berlusconi, nel '94, vinse grazie ad un programma che proponeva grandi innovazioni liberali. Quegli argomenti fecero presa sugli elettori. Purtroppo sono rimasti, in grandissima parte, inattuati. Rimangono però attuali. Una economia in difficoltà, soffocata da mille problemi va rilanciata. Che si tratti di stagnazione o di recessione poco importa, la nostra economia è malata e va subito curata. Qui sta il senso dell'intervento di Mario Monti. Domenica, nel suo editoriale sul Corsera, ha chiarito la sua posizione: che sia il grande centro, che sia il centrosinistra o che sia il centrodestra non importa, l'importante è che si formi una coalizione in grado di dare una sterzata all'economia italiana. Ai cittadini importa avere un lavoro, ben retribuito e con una imposta sul reddito giusta. Avere soldi in tasca da permettersi una buona qualità di vita. Come si ottiene questo? Riformando in senso liberista la nostra economia. Diminuire la pressione fiscale sulle aziende, renderle più competitive, aumentarne la produttività, ridimensionare il potere dei sindacati, lasciare maggiore libertà di contrattazione fra datore di lavoro e dipendenti, creare le condizioni per cambiare l'immagine che si ha dell'Italia all'estero (soprattutto dopo gli "scandali" Cirio, Parmalat e Bankitalia) e attirare così gli investimenti stranieri, e tanto altro ancora. Queste sono le priorità! Ma come portare avanti queste rivendicazioni? Le scelte di Pannella & co. sembrano orientate in tutt'altra direzione: per loro le priorità sono altre. L'unico a dissentire è Della Vedova... che è anche l'unico ad avere uno spessore tale (per quanto riguarda le questioni economiche) da portare avanti un programma liberista. L'ipotesi delle due liste radicali mi sembra nefasta, vorrebbe dire disperdere un patrimonio di grandi idee. Un partito che parte dal 2,3% non può dividersi, perdendo una persona importante come Della Vedova. L'unità dello schieramento, secondo me, va difesa; poi occorre delineare le priorità... capire quali sono i veri problemi dell'Italia e proporsi per risolverli.

domenica, agosto 28, 2005

Io non c'entro

Dopo una settimana di editoriali monotematici (il "Grande Centro") ai quali hanno partecipato quasi tutti i corsivisti del Corsera (Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino, Salvati, Sartori, ecc) ci permettiamo di dire anche noi la nostra opinione. Che il bipolarismo attuale abbia un funzionamento non proprio ideale, penso sia concezione diffusa ed evidente agli occhi di tutti. Certo, abbiamo avuto il governo più lungo della storia dell'Italia repubblicana ma, non sempre, quantità è sinonimo di qualità: non sempre la lunga durata di un governo corrisponde al buon governo. Cosa non permette al nostro bipolarismo di funzionare correttamente? In primo luogo il problema sta nella legge elettorale e, successivamente, nella eterogeneità dei partiti presenti nelle coalizioni. I due aspetti sono intrecciati. Il Mattarellum, con il suo 75% di maggioritario e il 25% di proporzionale, leggittima elettoralmente i partiti e, in un certo senso, li incita a farli vivere e competere. In questo caso mi trovo d'accordo con il professor Sartori: lui propone un sistema maggioritario a doppio turno, a me basterebbe un sistema maggioritario (magari anche doppio turno). Questo sistema darebbe un incentivo, non dico al passaggio istantaneo al bipartitismo, ma alla scomparsa di tanti piccoli partiti, a favore di pochi schieramenti elettoralmente forti. Si guardi, ad esempio, al caso dell'Inghilterra dove, in un sistema maggioritario, a contendersi il primato di fronte agli elettori sono sostanzialmente i laburisti, i conservatori ed anche i liberaldemocratici. Esistono anche una serie di partiti minori, ma rimangono, grazie alla legge elettorale, lontani dai luoghi decisionali. Il nostro bipolarismo è invece un triste "regime partitocratico" (per usare una terminologia pannelliana), per colpa di un potere eccessivo dei partiti di condizionare l'operato dell'intera coalizione. Tutto questo per ottenere "peso" all'interno dello schieramento e riuscire a strappare consenso nelle tornate elettorali (perchè è importante che vinca la propria coalizione, ma anche il partito deve ben figurare). E quindi abbiamo assistito (e stiamo assistendo) ad una continua contrattazione fra le parti: bisogna concedere qualcosa a un partito senza scontentare gli altri e, in seguito, dare ad ognuno il proprio contentino. In linea di massima, uno potrebbe dire, che questa è la politica. Un conto però è doversi confrontare con partiti più o meno affini, un'altro invece è doversi rapportare con partiti molto distanti (da un punto di vista programmatico ed ideologico). Avere a che fare con forze che difficilmente potremmo definire liberali risulta un freno per qualsiasi coalizione. E quando parlo di forze illiberali penso alla componente di AN che fa capo al ministro Alemanno, ad alcuni atteggiamenti della Lega, ai partiti che ancora esaltano il comunismo. Col maggioritario si riuscirebbe a compattare i partiti affini e lasciare in disparte queste piccole realtà che invece riescono, attualmente, ad influenzare eccessivamente l'operato dei governi. Avere in parlamento partiti che non si riconoscono nel sistema liberaldemocratico è una questione di grande rilevanza. Cambiando legge elettorale la federazione dell'Ulivo potrebbe raccogliersi in un unico partito, dall'altra parte potrebbe nascere uno schieramento liberal-conservatore, oppure altre forme di aggregazione politica. L'importante è riuscire ad aggregare forze affini e renderle in grado, grazie ad una nuova legge elettorale, di potere governare senza dovere scendere a patti con personaggi e partiti illiberali. Inglobare, come si fa ora, tutti i gruppuscoli sul mercato della politica per avere uno 0,5% in più alle elezioni può permettere di vincere ma non può permettere di governare. E allora occorre passare completamente al maggioritario e creare nuove formazioni politiche, aggreganti ma coese.

lunedì, agosto 22, 2005

Freud, la Biennale e il ghetto ebraico

Dell'ultima mia visita a Venezia ricordavo gli schizzi dell'acqua che bagnava il mio viso. Niente S. Marco, niente Piccioni, ricordavo solamente il motoscafo. Ora sono passati 20 anni e finalmente ho rimesso piede nella laguna (e un po' me ne vergogno, perchè ho dovuto far passare così tanto tempo?). Due giorni trascorsi a macinare chilometri con l'unico mezzo di locomozione su terra: le proprie gambe. Tante attrattive culturali che, in un solo weekend, non potevo soddisfare completamente. La scelta è ricaduta sulla mostra di Lucien Freud al Museo Correr e sulla Biennale Arte (forse la "a" minuscola è più indicata). Del nipote di Sigmund che dire, forse ci si può associare al giudizio di tanti critici d'arte: "il miglior pittore contemporaneo vivente". Freud ha tutto ciò che manca a tanti nuovi artisti: una tecnica eccezionale e una capacità enorme di trasmettere forti sensazioni. Alla Biennale invece la pittura rimane pressochè bandita (per fortuna una sala è dedicata a Bacon). Nonostante ciò, della visita al Padiglione Italia, salverei molte cose. Gli spazi espositivi curati da Maria de Corral sono interessanti, poca pittura, tanti video e tante installazioni. A passeggiare tra quelle sale si ha la percezione che il colore e il pennello non abbiano più niente da dire, che siano stati spremuti fino in fondo. Molte nuove opportunità offre il territorio vergine dell'immagine animata. Ma non sempre il filmato e l'installazione riescono nell'intento di comunicare con il pubblico. Si può, in alcuni casi, subire solamente la fascinazione dell'immagine e non avanzare di un centimetro da quello stadio. Non giungono emozioni forti e non veniamo raggiunti o creiamo idee e concetti. Oggi il piacere estatico della contemplazione è stato sostituito da una tendenza a concettualizzare l'opera d'arte. Ma se fra opera d'arte e fruitore si frappone (allitterazione involontaria) una barriera, è impossibile che vi sia comunicazione. Ed allora si rimane nella autoreferenzialità, dove l'artista parla a sè stesso e non ad un pubblico. Cosa che accade durante la visita all'arsenale. L'espozione curata dall'altra spagnola è una vera e propria arlecchinata. Un parco divertimenti dominato dal non senso. Un territorio ostile pieno di suoni, luci e colori. Lo spazio indistinto, "aperto" che accoglie le opere crea ulteriore smarrimento. Un caos incomprensibile dove il confine fra arte e non arte evapora. L'artista è muto e il pubblico è sordo (e cieco). Si esce dall'arsenale dopo essere stati ospitati su una navicella spaziale e si rimane con la sensazione di essere passati non per una mostra d'arte ma per Gardaland. Di Venezia ricorderò anche la visita al più antico ghetto ebraico nato in Italia. Confinati in un territorio ristrettissimo gli ebrei hanno costruito palazzi alti fino a nove piani (gli unici così alti a Venezia). D'altronde sono il popolo che è riuscito ad ottenere frutti da un suolo così poco fertile come il deserto.

sabato, agosto 13, 2005

Pausa

I Federalisti già da un paio di settimane sono in vacanza, riprenderanno a pubblicare nuovi commenti sul blog alla "riapertura" di TocqueVille (22 agosto). Buon Ferragosto!

lunedì, agosto 01, 2005

Libertà e sicurezza

Potrebbe sembrare il solito sterile giochetto: questo è di destra, quello è di sinistra. Ma quando ad essere chiamati in causa sono temi importanti come la sicurezza e la libertà allora il discorso si fa serio (più serio che stabilire se Gaber è di destra, se Vasco è di sinistra.... e Battiato? E' di destra?). E qui subentra Piero Sansonetti (lui, senza ombra di dubbio, è di sinistra), direttore del quotidiano della rifondazione comunista: Liberazione. Intervistato dal Corriere della Sera sulle leggi del pacchetto anti-terrorismo (e in particolare sulla legge che vieta il burqa) arriva a sostenere, per la felicità della Casa delle Libertà, che il tema della sicurezza è di destra. Inoltre, Sansonetti, si dice anche molto felice di lasciare la questione della sicurezza alla destra. Ben poca cosa infatti è la sicurezza rispetto alla libertà e all'uguaglianza (questi sì, temi di sinistra e molto importanti!). Che dire? Cominciamo col dire che senza sicurezza non c'è libertà. Ovvero che si può esercitare la propria libertà individuale solamente grazie alla legge. Qui occorre scomodare il liberalismo classico e fare presente ad un comunista doc come Sansonetti che la libertà di fare quello che si vuole (la libertà del terrorista di farsi esplodere e uccidere decine di persone) vìola l'esercizio della libertà da parte delle persone che vengono uccise (evidentemente). La legge e la sicurezza (che altro non è se non la possibilità di comportarsi liberamente grazie al lavoro delle forze dell'ordine che impongono il rispetto della legge) sono dunque strettamente legate al tema della libertà. Poi diciamo che fa un poco sorridere sentire parlare di libertà una persona che vuole sopprimere la proprietà privata. Dirsi comunista e, nello stesso tempo, farsi sostenitore della libertà crea contraddizioni di cui la storia è testimone. Collettivismo, dirigismo statale, abolizione della proprietà privata che c'azzeccano con la libertà? Qualche comunista risponda....