Diplomazie al lavoro
In cerca del nuovo ordine
di Maurizio Molinari (La Stampa del 9/2/2005)
L’accordo di Sharm el-Sheikh e il discorso di Condoleezza Rice a Parigi disegnano all’orizzonte un possibile nuovo ordine internazionale. L’intesa sul cessate il fuoco raggiunta fra Ariel Sharon ed Abu Mazen sulla rive del Mar Rosso apre la strada alla fase finale del negoziato israeliano-palestinese, alla nascita dello Stato di Palestina ed alla piena accettazione di Israele da parte dei Paesi arabi...
L’intervento del segretario di Stato di fronte alla platea della facoltà di Scienze Politiche di Parigi rilancia il patto transatlantico, chiedendo agli alleati di «guardare al futuro» e «condividere i propri valori con gli altri popoli» che aspirano alla libertà. La simultaneità dei due eventi è stata voluta dalla Casa Bianca per creare un «momentum diplomatico» che culminerà con l'arrivo del presidente George W. Bush in Europa il 20 febbraio.
Forte del successo ottenuto a Baghdad con la celebrazione delle elezioni, la diplomazia americana opera su un doppio binario: spingere il Medio Oriente a ritmi accelerati verso pace, riforme e democrazia; rilanciare i compiti della Nato guardando ben oltre i confini geografici del Vecchio Continente. Il fine è trasformare l'alleanza euroamericana nel laboratorio di una rivoluzione democratica globale che si propone di lottare contro tirannie, terrorismo, armi di distruzione, povertà e malattie come l’Aids. Se la regione del Grande Medio Oriente, fra gli oceani Atlantico ed Indiano, è il terreno scelto per la resa dei conti con gli ultimi dittatori, l'America vede nell'Europa il partner necessario per affrontare le responsabilità della guerra al terrorismo in quanto il conflitto ha tempi lunghi ed i pericoli incombono: l’opposizione dei fondamentalisti di Hamas all'intesa di Sharm el-Sheikh, le minacce degli Hezbollah contro Abu Mazen, le autobombe di Abu Musab al-Zarqawi a Baghdad, l’ancora imprendibile Osama bin Laden, la vitalità di Al Qaeda nella penisola arabica e la corsa dell’Iran all’arma nucleare sono un'agenda ad alto rischio.
Se Bush nei due discorsi di inizio mandato ha indicato nell’«espansione della libertà» l'obiettivo strategico di questa generazione, in risposta alla sfida militare subita con gli attacchi dell'11 settembre 2001, è il segretario di Stato che con la sua maratona aerea di sette giorni in dieci nazioni ha iniziato a gettare le fondamenta del nuovo assetto internazionale, raffigurato dalla stretta di mano Sharon-Abu Mazen, chiedendo ad un'«Europa forte» di fare la propria parte, di essere protagonista alla costruzione degli equilibri del XXI secolo.
Per raccogliere la sfida l'Europa dovrà dimostrare di condividere con l’America qualcosa che va oltre l'interesse comune di lasciarsi alle spalle le ferite irachene. Al di là della politica ciò che infatti sta dietro le mosse della Casa Bianca è la convinzione che «la Storia non si fa da sola ma - come ha detto la Rice ieri a Parigi - viene fatta dagli uomini». E' stata proprio la scommessa americana sulla possibilità di trasformare lo status quo che ha portato al rovesciamento dei taleban e di Saddam Hussein, all’uscita di scena di Yasser Arafat ed alla sconfitta dell'Intifada armata.
di Maurizio Molinari (La Stampa del 9/2/2005)
L’accordo di Sharm el-Sheikh e il discorso di Condoleezza Rice a Parigi disegnano all’orizzonte un possibile nuovo ordine internazionale. L’intesa sul cessate il fuoco raggiunta fra Ariel Sharon ed Abu Mazen sulla rive del Mar Rosso apre la strada alla fase finale del negoziato israeliano-palestinese, alla nascita dello Stato di Palestina ed alla piena accettazione di Israele da parte dei Paesi arabi...
L’intervento del segretario di Stato di fronte alla platea della facoltà di Scienze Politiche di Parigi rilancia il patto transatlantico, chiedendo agli alleati di «guardare al futuro» e «condividere i propri valori con gli altri popoli» che aspirano alla libertà. La simultaneità dei due eventi è stata voluta dalla Casa Bianca per creare un «momentum diplomatico» che culminerà con l'arrivo del presidente George W. Bush in Europa il 20 febbraio.
Forte del successo ottenuto a Baghdad con la celebrazione delle elezioni, la diplomazia americana opera su un doppio binario: spingere il Medio Oriente a ritmi accelerati verso pace, riforme e democrazia; rilanciare i compiti della Nato guardando ben oltre i confini geografici del Vecchio Continente. Il fine è trasformare l'alleanza euroamericana nel laboratorio di una rivoluzione democratica globale che si propone di lottare contro tirannie, terrorismo, armi di distruzione, povertà e malattie come l’Aids. Se la regione del Grande Medio Oriente, fra gli oceani Atlantico ed Indiano, è il terreno scelto per la resa dei conti con gli ultimi dittatori, l'America vede nell'Europa il partner necessario per affrontare le responsabilità della guerra al terrorismo in quanto il conflitto ha tempi lunghi ed i pericoli incombono: l’opposizione dei fondamentalisti di Hamas all'intesa di Sharm el-Sheikh, le minacce degli Hezbollah contro Abu Mazen, le autobombe di Abu Musab al-Zarqawi a Baghdad, l’ancora imprendibile Osama bin Laden, la vitalità di Al Qaeda nella penisola arabica e la corsa dell’Iran all’arma nucleare sono un'agenda ad alto rischio.
Se Bush nei due discorsi di inizio mandato ha indicato nell’«espansione della libertà» l'obiettivo strategico di questa generazione, in risposta alla sfida militare subita con gli attacchi dell'11 settembre 2001, è il segretario di Stato che con la sua maratona aerea di sette giorni in dieci nazioni ha iniziato a gettare le fondamenta del nuovo assetto internazionale, raffigurato dalla stretta di mano Sharon-Abu Mazen, chiedendo ad un'«Europa forte» di fare la propria parte, di essere protagonista alla costruzione degli equilibri del XXI secolo.
Per raccogliere la sfida l'Europa dovrà dimostrare di condividere con l’America qualcosa che va oltre l'interesse comune di lasciarsi alle spalle le ferite irachene. Al di là della politica ciò che infatti sta dietro le mosse della Casa Bianca è la convinzione che «la Storia non si fa da sola ma - come ha detto la Rice ieri a Parigi - viene fatta dagli uomini». E' stata proprio la scommessa americana sulla possibilità di trasformare lo status quo che ha portato al rovesciamento dei taleban e di Saddam Hussein, all’uscita di scena di Yasser Arafat ed alla sconfitta dell'Intifada armata.
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