La ricetta della Casa Bianca fa proseliti
LA NUOVA EUROPA TAGLIA LE TASSE
di MASSIMO GAGGI (dal Corriere della Sera del 24/2/2005)
«E adesso provate con la "cowboynomics": rimettete in moto l’economia con un robusto taglio delle tasse» come ha fatto Bush. L’invito rivolto al Giappone di nuovo in recessione e alle economie più stagnanti dell’Europa - quella tedesca innanzi tutto, ma anche quella dell’Italia - è una provocazione liberista del Wall Street Journal. [continua a leggere cliccando su "leggi tutto!"]
Ma l’editoriale del quotidiano conservatore riflette lo stato d’animo dell’amministrazione Usa, convinta di essere sulla strada giusta, nonostante le critiche dei partner del G7 per l’indebolimento del dollaro e i rischi di instabilità insiti nel deficit dei conti con l’estero e in quello del bilancio federale. Ieri, nell’incontro di Mainz, Bush ha discusso col cancelliere tedesco Schröder soprattutto di Iran e crisi mediorientale, ma nel suo sorriso un po’ strafottente c’era anche l’orgoglio di chi guida un Paese che, pur tra molti problemi, continua a crescere rapidamente. L’America degli oltre 132 milioni di posti di lavoro - solo 9 milioni di disoccupati su 300 milioni di abitanti - è anche un Paese che attira cervelli, che assorbe e integra un fiume di immigrati, mentre la Germania, ancora terza potenza industriale del mondo davanti alla Cina e campione di esportazioni, è ugualmente schiacciata da una disoccupazione al 10,8% (4,5 milioni di senza lavoro su 82 milioni di abitanti).
Le contorsioni dell’Europa attorno al Patto di stabilità appassionano assai poco il governo Usa. L’unica vera preoccupazione finanziaria di Washington è che l’euro indebolisca il ruolo del dollaro come valuta di riserva universale: il veicolo attraverso il quale la «corazzata» America fa pagare anche al resto del mondo il prezzo dei suoi squilibri. Il ruolo dell’euro effettivamente cresce in questa direzione, ma per scalzare il biglietto verde - se mai sarà possibile - ci vorranno decenni.
C’è, però, anche un’altra sfida di cui si parla poco. Bush promette di non alimentare più la contrapposizione politica tra «vecchia» e «nuova» Europa, ma nel nostro Continente c’è ormai una netta divaricazione economica e non solo perché l’Est produce a costi molto più bassi dell’Europa «matura»: emerge anche una frattura ideologica sul ruolo dello Stato come redistributore del reddito, in buona parte alimentata dalla filosofia del taglio delle tasse, lanciata da Reagan e consolidata da Bush. A Bratislava il presidente americano ha incontrato i dirigenti di un Paese, la Slovacchia, che ha appena introdotto la «flat tax»: l’imposta ad aliquota unica (19% per tutti) che «tenta» anche la Casa Bianca e che può funzionare da potente stimolo all’economia, ma cancella l’obiettivo di equità insito nella tassazione progressiva e non è in grado di finanziare sistemi di «welfare» come quelli diffusi nella «vecchia Europa».
Ma la «flat tax», introdotta da anni a Hong Kong e allo studio a Pechino, è ormai una realtà in Russia (dove il prelievo è solo del 13%), in Ucraina, in Romania e in altre capitali dell’Est sensibili al proselitismo dei consiglieri «neocon» americani. L’hanno adottata anche cinque dei Paesi entrati quest’anno nella Ue: Estonia, Lettonia, Lituania e Malta, oltre alla Slovacchia.
L’Europa delle protezioni sociali, che considerava i tagli fiscali di Bush poco più che stregonerie, rischia l’assedio. E il «contagio» varca ormai i cancelli dell’Unione: qualche giorno fa, a Davos, ho chiesto al presidente della Georgia, Saakashvili - un ragazzone di 38 anni che fino a qualche anno fa faceva l’avvocato a New York - se, con tutti i problemi della sua turbolenta repubblica, era riuscito a occuparsi anche di Fisco. «Certo, ho già abbassato le tasse cinque volte. Ora siamo al 12%. Per tutti». Quindi rinunciate a finanziare un sistema di welfare... «Welfare? Quale welfare?»
di MASSIMO GAGGI (dal Corriere della Sera del 24/2/2005)
«E adesso provate con la "cowboynomics": rimettete in moto l’economia con un robusto taglio delle tasse» come ha fatto Bush. L’invito rivolto al Giappone di nuovo in recessione e alle economie più stagnanti dell’Europa - quella tedesca innanzi tutto, ma anche quella dell’Italia - è una provocazione liberista del Wall Street Journal. [continua a leggere cliccando su "leggi tutto!"]
Ma l’editoriale del quotidiano conservatore riflette lo stato d’animo dell’amministrazione Usa, convinta di essere sulla strada giusta, nonostante le critiche dei partner del G7 per l’indebolimento del dollaro e i rischi di instabilità insiti nel deficit dei conti con l’estero e in quello del bilancio federale. Ieri, nell’incontro di Mainz, Bush ha discusso col cancelliere tedesco Schröder soprattutto di Iran e crisi mediorientale, ma nel suo sorriso un po’ strafottente c’era anche l’orgoglio di chi guida un Paese che, pur tra molti problemi, continua a crescere rapidamente. L’America degli oltre 132 milioni di posti di lavoro - solo 9 milioni di disoccupati su 300 milioni di abitanti - è anche un Paese che attira cervelli, che assorbe e integra un fiume di immigrati, mentre la Germania, ancora terza potenza industriale del mondo davanti alla Cina e campione di esportazioni, è ugualmente schiacciata da una disoccupazione al 10,8% (4,5 milioni di senza lavoro su 82 milioni di abitanti).
Le contorsioni dell’Europa attorno al Patto di stabilità appassionano assai poco il governo Usa. L’unica vera preoccupazione finanziaria di Washington è che l’euro indebolisca il ruolo del dollaro come valuta di riserva universale: il veicolo attraverso il quale la «corazzata» America fa pagare anche al resto del mondo il prezzo dei suoi squilibri. Il ruolo dell’euro effettivamente cresce in questa direzione, ma per scalzare il biglietto verde - se mai sarà possibile - ci vorranno decenni.
C’è, però, anche un’altra sfida di cui si parla poco. Bush promette di non alimentare più la contrapposizione politica tra «vecchia» e «nuova» Europa, ma nel nostro Continente c’è ormai una netta divaricazione economica e non solo perché l’Est produce a costi molto più bassi dell’Europa «matura»: emerge anche una frattura ideologica sul ruolo dello Stato come redistributore del reddito, in buona parte alimentata dalla filosofia del taglio delle tasse, lanciata da Reagan e consolidata da Bush. A Bratislava il presidente americano ha incontrato i dirigenti di un Paese, la Slovacchia, che ha appena introdotto la «flat tax»: l’imposta ad aliquota unica (19% per tutti) che «tenta» anche la Casa Bianca e che può funzionare da potente stimolo all’economia, ma cancella l’obiettivo di equità insito nella tassazione progressiva e non è in grado di finanziare sistemi di «welfare» come quelli diffusi nella «vecchia Europa».
Ma la «flat tax», introdotta da anni a Hong Kong e allo studio a Pechino, è ormai una realtà in Russia (dove il prelievo è solo del 13%), in Ucraina, in Romania e in altre capitali dell’Est sensibili al proselitismo dei consiglieri «neocon» americani. L’hanno adottata anche cinque dei Paesi entrati quest’anno nella Ue: Estonia, Lettonia, Lituania e Malta, oltre alla Slovacchia.
L’Europa delle protezioni sociali, che considerava i tagli fiscali di Bush poco più che stregonerie, rischia l’assedio. E il «contagio» varca ormai i cancelli dell’Unione: qualche giorno fa, a Davos, ho chiesto al presidente della Georgia, Saakashvili - un ragazzone di 38 anni che fino a qualche anno fa faceva l’avvocato a New York - se, con tutti i problemi della sua turbolenta repubblica, era riuscito a occuparsi anche di Fisco. «Certo, ho già abbassato le tasse cinque volte. Ora siamo al 12%. Per tutti». Quindi rinunciate a finanziare un sistema di welfare... «Welfare? Quale welfare?»
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