Io non c'entro
Dopo una settimana di editoriali monotematici (il "Grande Centro") ai quali hanno partecipato quasi tutti i corsivisti del Corsera (Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino, Salvati, Sartori, ecc) ci permettiamo di dire anche noi la nostra opinione. Che il bipolarismo attuale abbia un funzionamento non proprio ideale, penso sia concezione diffusa ed evidente agli occhi di tutti. Certo, abbiamo avuto il governo più lungo della storia dell'Italia repubblicana ma, non sempre, quantità è sinonimo di qualità: non sempre la lunga durata di un governo corrisponde al buon governo. Cosa non permette al nostro bipolarismo di funzionare correttamente? In primo luogo il problema sta nella legge elettorale e, successivamente, nella eterogeneità dei partiti presenti nelle coalizioni. I due aspetti sono intrecciati. Il Mattarellum, con il suo 75% di maggioritario e il 25% di proporzionale, leggittima elettoralmente i partiti e, in un certo senso, li incita a farli vivere e competere. In questo caso mi trovo d'accordo con il professor Sartori: lui propone un sistema maggioritario a doppio turno, a me basterebbe un sistema maggioritario (magari anche doppio turno). Questo sistema darebbe un incentivo, non dico al passaggio istantaneo al bipartitismo, ma alla scomparsa di tanti piccoli partiti, a favore di pochi schieramenti elettoralmente forti. Si guardi, ad esempio, al caso dell'Inghilterra dove, in un sistema maggioritario, a contendersi il primato di fronte agli elettori sono sostanzialmente i laburisti, i conservatori ed anche i liberaldemocratici. Esistono anche una serie di partiti minori, ma rimangono, grazie alla legge elettorale, lontani dai luoghi decisionali. Il nostro bipolarismo è invece un triste "regime partitocratico" (per usare una terminologia pannelliana), per colpa di un potere eccessivo dei partiti di condizionare l'operato dell'intera coalizione. Tutto questo per ottenere "peso" all'interno dello schieramento e riuscire a strappare consenso nelle tornate elettorali (perchè è importante che vinca la propria coalizione, ma anche il partito deve ben figurare). E quindi abbiamo assistito (e stiamo assistendo) ad una continua contrattazione fra le parti: bisogna concedere qualcosa a un partito senza scontentare gli altri e, in seguito, dare ad ognuno il proprio contentino. In linea di massima, uno potrebbe dire, che questa è la politica. Un conto però è doversi confrontare con partiti più o meno affini, un'altro invece è doversi rapportare con partiti molto distanti (da un punto di vista programmatico ed ideologico). Avere a che fare con forze che difficilmente potremmo definire liberali risulta un freno per qualsiasi coalizione. E quando parlo di forze illiberali penso alla componente di AN che fa capo al ministro Alemanno, ad alcuni atteggiamenti della Lega, ai partiti che ancora esaltano il comunismo. Col maggioritario si riuscirebbe a compattare i partiti affini e lasciare in disparte queste piccole realtà che invece riescono, attualmente, ad influenzare eccessivamente l'operato dei governi. Avere in parlamento partiti che non si riconoscono nel sistema liberaldemocratico è una questione di grande rilevanza. Cambiando legge elettorale la federazione dell'Ulivo potrebbe raccogliersi in un unico partito, dall'altra parte potrebbe nascere uno schieramento liberal-conservatore, oppure altre forme di aggregazione politica. L'importante è riuscire ad aggregare forze affini e renderle in grado, grazie ad una nuova legge elettorale, di potere governare senza dovere scendere a patti con personaggi e partiti illiberali. Inglobare, come si fa ora, tutti i gruppuscoli sul mercato della politica per avere uno 0,5% in più alle elezioni può permettere di vincere ma non può permettere di governare. E allora occorre passare completamente al maggioritario e creare nuove formazioni politiche, aggreganti ma coese.
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