lunedì, ottobre 02, 2006

Tasse e crescita economica

I 33,4 miliardi di euro della finanziaria sono costituiti, all’incirca, per un terzo da tagli alla spesa e per due terzi da nuove entrate. Gli obiettivi dichiarati dal governo erano due: riportare il rapporto deficit/Pil sotto i 3 punti percentuali e sostenere lo sviluppo dell’economia. Se il primo punto verrà realizzato, difficilmente si potrà dire che le misure prese nella finanziaria gioveranno alla crescita economica. La riduzione del cuneo fiscale difficilmente potrà essere efficace. Non c’è bisogno di scomodare il premio Nobel all’economia Prescott per affermare che un Stato come quello italiano che tassa cittadini e imprese in maniera così cospicua difficilmente potrà avere una economia florida. Il prelievo fiscale, in Italia, è a livelli altissimi e questo evidentemente influisce sull’andamento della nostra economia. Aggiungere a quelle esistenti altre 56 nuove tasse e rimodulare le aliquote irpef penalizzando ampiamente il ceto medio significa non favorire la crescita economica. Mi si obietterà: ma in Svezia il prelievo fiscale è molto alto eppure la situazione economica di quel paese è positiva. Premettendo che la disoccupazione reale in Svezia è verosimilmente intorno al 15%, lì almeno il mercato del lavoro è flessibile e questo favorisce la crescita. Qui in Italia, oltre ad una tassazione spaventosa, abbiamo un mercato del lavoro particolarmente rigido (per fortuna una rigidità parzialmente intaccata dalla legge Biagi). Flessibilità e fisco leggero sono due condizioni indispensabili per lo sviluppo economico. In maniera emblematica Prodi, già in conferenza stampa, ha cominciato a parlare di una legge finanziaria equa, giusta, che ridistribuisce ricchezze, ponendo dunque l’accento su di un punto che non era negli obiettivi dichiarati della finanziaria. Se i tagli alla spesa fossero stati maggiori e, di conseguenza, molto minore fosse stato il ricorso a nuove entrate allora la finanziaria poteva essere di sostegno allo sviluppo. Così come è, invece, risulta essere una misura classista e statalista, concordata indubbiamente con i sindacati e incoraggiata dalla sinistra conservatrice, con la finalità di far piangere i presunti ricchi (che in realtà saremmo tutti noi) e assestare un duro colpo allo sviluppo della nostra economia.