mercoledì, settembre 20, 2006

Letteratura ebraica: Nuove tendenze oltre l'ortodossia

Donne con la parrucca; uomini, con lunghi cernecchi, avvolti magari in palandrane scure con colletto di pelliccia: abbigliamenti adatti a qualche paese russo o polacco più che al clima mediorientale. Questa popolazione del quartiere di Mea Shearim a Gerusalemme costituisce oggi una curiosità folcloristica, purché non prenda a sassate la tua automobile se entri nel quartiere di sabato, giorno di preghiera. Ma nessuno si domanda chi siano veramente queste persone, come la pensino; magari gli si affibbia, con erronea generalizzazione, la qualifica di ortodossi. Haim Be' er, con i suoi Lacci d' amore (La Giuntina, pagine 350, 15), c' introduce nella vita e nella storia degli abitanti del quartiere; ed è una vera scoperta. Be' er non è un sociologo o un giornalista; anzi è un figlio dello stesso quartiere, con un albero genealogico di rabbini, mistici e chassidim: s' è emancipato, fa lo scrittore e l' editore, è totalmente laico, ma guarda con rispetto e con un filo di nostalgia alla sua gente. Romanzo di formazione, Lacci d' amore ci narra l' educazione del protagonista, fra le storie di famiglia, che risalgono sino alla Russia zarista e ai pogrom, per giungere alle ultime guerre di autodifesa e alle intifade; spaziano in viaggi dovuti al capriccio o a qualche illusione qua e là per il Mediterraneo, magari alla ricerca delle mitiche dieci tribù d' Israele perdute; evocano le letture bibliche e talmudiche (con suggestive tracce nel linguaggio), ma anche quelle di autori moderni come Balzac, Cechov, Ibsen, Henry James e Dylan Thomas. E all' osservanza religiosa si sovrappone lentamente l' illuminismo della corrente sette-ottocentesca ebraica chiamata Haskalah. Colpisce l' assenza, nel contesto, di qualunque repressione dogmatica: la madre del protagonista si lascia andare ad affermazioni di puro ateismo, il padre è appassionato di musica sinagogale, ma non credente. Curiosa poi la gamma dei mestieri di rabbini e chassidim: lattai e produttori di lucido da scarpe, per esempio. Non si avverte una stratificazione sociale. Grandi personaggi, come una nonna analfabeta che, cinquantenne, impara da sola a leggere e scrivere, e diventa una lettrice onnivora. La nonna è anche un archivio di ricordi che sfiorano la leggenda. Racconta per esempio di un suo antenato cui appare Napoleone a cavallo durante la ritirata di Russia. L' imperatore chiede ospitalità e indicazioni sulla strada, e l' ebreo gliele fornisce, pur sapendo quanto rischia aiutando l' invasore. Nel commiato, i due si scambiano i mantelli: quello del povero ebreo coprirà, mimetizzandolo, il monarca, mentre quello, superbo, di Napoleone viene conservato con riverenza, e diventerà alla fine una copertura per arredi sacri. La nonna tiene su un tavolino le foto di tutti i figli e di altri familiari, spostandole di continuo, secondo i suoi momentanei risentimenti; la sera, davanti a una tisana che spande i suoi effluvi, comincia a inseguire i ricordi, e pare che profetizzi. Anche la mamma s' è fatta una cultura frequentando le scuole serali e per corrispondenza, ma è pure lei una biblioteca vivente; è poi portatrice di idee socialiste, maturate nella sua breve carriera di lavoratrice. Ma, frustrata dalle disgrazie e da due matrimoni infelici, guarda alle persone e alle idee con un acume sconsolato, che si trasmette al figlio, liberandolo da qualsiasi fanatismo e spingendolo a ragionare solo con la sua testa. La mamma parla pure attraverso gli oggetti, i pochi salvati da una vita di stenti, dando loro riflessi e simbolismi. Un giorno, mostrando al figlio un braccialetto d' oro conservato nella bambagia, gli dice: «L' oro può essere sempre riciclato ( ). Gli esseri umani invece sono monouso, come il batuffolo di cotone che si usa per togliere il pus». In un ambiente simile, il protagonista era destinato a diventare scrittore, s' intende dopo aver intensamente frequentato la biblioteca circolante e poi quelle più grandi e poi l' università e i letterati. È la vittoria della madre, una compensazione per i suoi dolori. Essa confesserà di aver tutelato il tempo libero del figlio per dargli modo di scrivere a volontà e per «liberarlo dei lacci della fede». Del resto, il loro rapporto fortemente, quasi morbosamente edipico, è proprio un modo di continuare una vita nell' altra, di portare un sogno alla realizzazione. Alla fine, quando il protagonista ha pronto il suo primo libro, e si angustia per il timore che la madre consideri violati i propri segreti e quelli della famiglia, scopre invece che essa è felice di vedersi espressa e giustificata. E allora comprendiamo che il protagonista e lo scrittore sono una stessa persona, che il libro che mostra alla madre è quello che noi leggiamo, che la memoria, cui egli si appella spesso, è la memoria sua e dei suoi. E il fascino di tempi e luoghi da ricordare ancora una volta potrebbe continuare ad agire, se non fosse per la consapevolezza che «quella vita, di cui voleva restaurare la freschezza e lo splendore originale, era già morta, annegata nel nulla, scomparsa». Più si facevano palpabili gli ultimi residui, le ultime immagini della memoria, «più palpabile e certa diventava la morte, la nostra signora, la cui ombra si proietta sul narratore fin dall' inizio, e il cui regno si estende su ogni cosa, tanto grande è la sua audacia e il suo potere».
Cesare Segre - Corriere della Sera