martedì, aprile 19, 2005

Giorgio Ambrosoli, un eroe borghese

Questa mattina, a Omnibus su La7, si parlava di Giorgio Ambrosoli. La Biblioteca nella quale lavoro è intitolata a lui, ricordo di avere scritto un profilo di Ambrosoli, eccolo:
“Un avvocato di Milano. Né oscuro né famoso. Rigido, intransigente, moralista, incapace di sfumature e di ambiguità, con una durezza corretta soltanto dall’ironia. E’ un uomo serio, brusco, sicuro delle sue scelte, anche se questo non esclude il dubbio. Non torna sulle sue decisioni, se le ritiene giuste. I suoi giudizi, spesso taglienti, gli procurano antipatie, ostilità, inimicizie. Non gli viene perdonato il carattere, il brutto carattere, e la sua incapacità di compromissione è scambiata per schematismo e altezzosità intellettuale. Attento, difeso, forse timido, pieno di pudori, al primo approccio spesso respinge. Ha bisogno di soppesare gli altri, di studiarli a lungo prima di concedere la sua fiducia. Ma con chi gli è amico svela tutta la sua affettività e delicatezza d’animo.
Alto, magro, un po’ stempiato, i baffetti, fa pensare a un attore americano degli anni trenta. E’ nato a Milano il 17 ottobre 1933, in via Paolo Giovio, tra corso Vercelli e piazzale Aquileia, dove c’è la chiesa del Fopponino.” Il suo nome è Giorgio Ambrosoli e questa riportata è la descrizione che ne fa il giornalista Corrado Stajano nel libro a lui dedicato.
Ambrosoli cresce in una famiglia della borghesia benestante. Il padre, avvocato, non esercita la libera professione, lavora in banca, alla Cassa di risparmio delle province Lombarde. Giorgio è il primogenito di tre figli. Fin da bambino sogna di fare l’avvocato. Si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Statale nel 1952. Consegue la laurea nel 1958 in Diritto Costituzionale; in apertura alla sua tesi, sul Consiglio Superiore della Magistratura, scrive una citazione dall’Apologia di Socrate:”Il giudice non siede allo scopo di amministrare a suo piacere la giustizia, ma di decidere ciò che è giusto e ingiusto”.
In quegli anni frequenta l’Unione Monarchica dove conosce la sua futura moglie, Anna Lorenza Gorla, con la quale si sposerà nella chiesa di San Babila nel 1962 e avrà tre figli: Francesca, Filippo, Umberto. Nel frattempo ha sostenuto l’esame di procuratore legale e trovato lavoro presso uno studio civilista.
Giorgio Ambrosoli comincia a farsi conoscere nella professione di avvocato. Nel 1964 ha una occasione che condizionerà la sua vita, attirandolo a specializzarsi professionalmente nel diritto societario e fallimentare. La Sfi, Società Finanziaria Italiana, viene messa in liquidazione coatta amministrativa, la Banca d’Italia nomina i commissari liquidatori; Ambrosoli svolge la funzione di segretario dei commissari, ma quasi subito diventa lui il vero cervello dell’operazione. E’ una scuola, la Sfi, una timida iniziazione, dove impara a diffidare, dove si rende conto di come è ardua, spesso impossibile la ricerca della verità. Il lavoro dura anni, affiancato da altri incarichi assunti nel tempo: presidente del Collegio sindacale della Banca del Monte di Milano, Presidente del Collegio sindacale della Gioventù musicale, sindaco supplente del Credito fondiario, sindaco del Giornale fin dalla fondazione nel 1974.
E’ proprio nel 1974 che riceve dal governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, l’incarico di commissario liquidatore unico della Banca Privata Italiana, la banca di Michele Sindona.
Sindona, originario di Patti (Messina), era divenuto nel corso degli anni Sessanta uno dei più aggressivi banchieri del mondo; la sua abilità stava nel legare in un nodo inestricabile di affari quattro pilastri della società italiana: potere politico, Vaticano, massoneria e mafia. L'impero di Sindona, che arrivò a controllare un numero incalcolabile di banche e società finanziarie oltre alla metà dei titoli quotati a Piazza Affari, si avvia a dissolvere all’inizio degli anni settanta.
Ambrosoli comincia a ricostruire i motivi del fallimento della Banca Privata e a recuperare il denaro distratto da Sindona. Iniziano le intimidazioni, le voci anonime che telefonicamente lo minacciano. Ambrosoli però non si piega, è un professionista serio e onesto, non fa sconti e non accetta i vari progetti di salvataggio di Sindona, che eviterebbero al finanziere di rispondere penalmente del disastro finanziario e farebbero ricadere sulla collettività il peso economico. Sulla paura prevale il rispetto della propria libertà, libertà di essere coerente con se stesso, di non farsi condizionare da altri, di assolvere nell’interesse di tutti il proprio mandato. Le pressioni sono pesanti e scandalosamente esplicite, l’avvocato va avanti per la sua strada con i pochi collaboratori fidati, tra i quali vi è Silvio Novembre, maresciallo della Guardia di finanza. Nonostante abbia tutti contro, o quasi, Ambrosoli vuole affermare lo Stato delle regole e della legalità, uno Stato ideale a cui si ispira, fatto di dovere e senso delle istituzioni. Alla fine del 1978, si reca a New York per deporre dinnanzi al Gran Jury americano, perché, nel frattempo, Sindona sta per essere incriminato anche negli Stati Uniti per il dissesto della Franklin National Bank. Iniziano le minacce di morte per spingerlo a cambiare la deposizione davanti al Gran Jury. L'avvocato milanese è inflessibile.
La notte fra l’11 e il 12 luglio del 1979 Giorgio Ambrosoli viene assassinato da un killer arrivato appositamente dall’America, il mandante è Michele Sindona.