Tutti i neocon di Bush, i loro libri e le loro idee raccontate da Bill Kristol
- da Il Foglio di oggi (3/3/2005)
Il convegno di Liberal. Roma. “Forse ci sono più neoconservatori qui che in America”, dice al Foglio Bill Kristol, il direttore del Weekly Standard invitato in Italia da Liberal per celebrare i dieci anni della Fondazione animata da Ferdinando Adornato. Una volta sbarcato a Roma, il primo pensiero di Kristol è di quelli da far rabbrividire chi davvero pensa che i neocon siano gli uomini più pericolosi del mondo: “Andiamo a fare una passeggiata ai Fori, così prendo appunti sull’Impero?”. [continua a leggere cliccando su "leggi tutto!"]
Kristol e i neocon si divertono e si prendono gioco di chi comicamente li accusa dei peggiori crimini, così lasciano davvero credere di essere degli infingardi cospiratori. I giornali li descrivono come una cabala di ebrei affaristi e avidi di potere che si riuniscono in loschi centri studi per pianificare guerre, spartirsi il bottino e fare gli interessi dei coloni di Israele. Spesso basta che un americano abbia la reputazione di cattivo, o anche solo la faccia da schiaffi, per essere bollato sui giornali italiani come un perfido neoconservatore. Non è quasi mai vero.
Kristol, così, ha accettato la proposta del Foglio di fare una volta per tutte “la lista definitiva dei neocon”, l’elenco ufficiale dei neoconservatori a uso delle redazioni. Tanto per cominciare Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Alberto Gonzales, John Bolton e gli evangelici non sono neoconservatori. George Bush e Condi Rice nemmeno, “anche se ormai sono diventati loro i veri leader neocon”, spiega un Kristol davvero soddisfatto del vorticoso contagio democratico diffuso in medio oriente dalla Casa Bianca. Per dirne una, i neocon non hanno nemmeno un deputato, non sono un movimento organizzato e sono mal sopportati dalla leadership del partito repubblicano. I conservatori doc li odiano.
I padri fondatori di quello che fu un movimento liberal che si articolava intorno alle riviste Commentary (per le questioni estere) e Public Interest (per le cose interne) sono quattro: Irving Kristol, padre di Bill; Norman Podhoretz, padre dell’editorialista John; Nathan Glazer e Daniel Bell. Due su quattro, Glazer e Bell, sono ancora liberal, nonché elettori del partito democratico. Fra tre settimane, Public Interest chiuderà i battenti dopo 40 anni di servizio con un saggio definitivo sull’esperienza, scritto da Irving Kristol. Della prima generazione, ricorda il figlio Bill, fanno parte anche sua madre Gertrude Himmelfarb, storica dell’età vittoriana, e Jeane Kirkpatrick, ex ambasciatrice di Ronald Reagan all’Onu, mentre sul fronte politico i due amici parlamentari sono stati i senatori Democratici Daniel P. Moynihan ed Henry Scoop Jackson. Quanto alle influenze intellettuali, Kristol nega l’ultima trovata del Times, cioè che uno degli ispiratori sia stato Winston Churchill, piuttosto – dice – sono stati Leo Strauss, Alexis de Tocqueville e Raymond Aron. Tra i libri, Kristol cita “Losing Ground” di Charles Murray, “The spirit of liberalism” di Harvey Mansfield e “Wealth and Poverty” di George Gilder. Il primo è il saggio più completo sul fallimento dello Stato assistenziale, il secondo spiega perché i liberal si sono fatti fagocitare dalla sinistra, il terzo è un manifesto pro libera impresa. Il libro per capire la critica neocon alla società moderna, spiega Kristol, è “The closing of the american mind” di Allan Bloom.
Gli amici liberal
I neocon dentro l’Amministrazione sono pochi e, tranne Bill Luti al Pentagono, non hanno compiti operativi. Sono uomini di idee, dice Kristol. Il più noto è Paul Wolfowitz, poi ci sono Lewis Libby, capo dello staff di Cheney, Elliot Abrams, consigliere per la strategia democratica globale, Douglas Feith, il quale sta per lasciare il governo. Fuori dall’amministrazione ci sono Richard Perle e David Frum, i più politici della galassia neocon. Folto il campo degli editorialisti: il Weekly Standard, David Brooks (NYT) Charles Krauthammer (WaPost) Max Boot (LATimes) e, poi, Robert Kagan e Reuel Marc Gerecht. La maggior parte degli analisti dell’American Enterprise, da Michael Novak a Michael Ledeen, è neocon. Sul fronte liberal, i neocon hanno ottimi rapporti con il gruppo di New Republic, con il senatore democratico Joe Lieberman e con studiosi della Brookings come Michael O’Hanlon e James Steinberg, spesso firmatari di appelli bipartisan del famigerato Project for a new american century (Pnac) diretto da Gary Schmitt. “In realtà – conclude Kristol – i neocon sono davvero pochi, ma l’America è piena di cripto-neocon, gente patriottica, liberista, contraria all’estremismo di sinistra e che difende alcuni valori tradizionali come quelli familiari”. Kristol e Schmitt sono convinti che anche l’Europa sia piena di cripto-neocon, così lavorano per metterli insieme e ribaltare il luogo comune che definisce i neocon come antieuropei. A breve nascerà una specie di Pnac transatlantico, il “Comitato per un’Europa più forte”.
Il convegno di Liberal. Roma. “Forse ci sono più neoconservatori qui che in America”, dice al Foglio Bill Kristol, il direttore del Weekly Standard invitato in Italia da Liberal per celebrare i dieci anni della Fondazione animata da Ferdinando Adornato. Una volta sbarcato a Roma, il primo pensiero di Kristol è di quelli da far rabbrividire chi davvero pensa che i neocon siano gli uomini più pericolosi del mondo: “Andiamo a fare una passeggiata ai Fori, così prendo appunti sull’Impero?”. [continua a leggere cliccando su "leggi tutto!"]
Kristol e i neocon si divertono e si prendono gioco di chi comicamente li accusa dei peggiori crimini, così lasciano davvero credere di essere degli infingardi cospiratori. I giornali li descrivono come una cabala di ebrei affaristi e avidi di potere che si riuniscono in loschi centri studi per pianificare guerre, spartirsi il bottino e fare gli interessi dei coloni di Israele. Spesso basta che un americano abbia la reputazione di cattivo, o anche solo la faccia da schiaffi, per essere bollato sui giornali italiani come un perfido neoconservatore. Non è quasi mai vero.
Kristol, così, ha accettato la proposta del Foglio di fare una volta per tutte “la lista definitiva dei neocon”, l’elenco ufficiale dei neoconservatori a uso delle redazioni. Tanto per cominciare Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Alberto Gonzales, John Bolton e gli evangelici non sono neoconservatori. George Bush e Condi Rice nemmeno, “anche se ormai sono diventati loro i veri leader neocon”, spiega un Kristol davvero soddisfatto del vorticoso contagio democratico diffuso in medio oriente dalla Casa Bianca. Per dirne una, i neocon non hanno nemmeno un deputato, non sono un movimento organizzato e sono mal sopportati dalla leadership del partito repubblicano. I conservatori doc li odiano.
I padri fondatori di quello che fu un movimento liberal che si articolava intorno alle riviste Commentary (per le questioni estere) e Public Interest (per le cose interne) sono quattro: Irving Kristol, padre di Bill; Norman Podhoretz, padre dell’editorialista John; Nathan Glazer e Daniel Bell. Due su quattro, Glazer e Bell, sono ancora liberal, nonché elettori del partito democratico. Fra tre settimane, Public Interest chiuderà i battenti dopo 40 anni di servizio con un saggio definitivo sull’esperienza, scritto da Irving Kristol. Della prima generazione, ricorda il figlio Bill, fanno parte anche sua madre Gertrude Himmelfarb, storica dell’età vittoriana, e Jeane Kirkpatrick, ex ambasciatrice di Ronald Reagan all’Onu, mentre sul fronte politico i due amici parlamentari sono stati i senatori Democratici Daniel P. Moynihan ed Henry Scoop Jackson. Quanto alle influenze intellettuali, Kristol nega l’ultima trovata del Times, cioè che uno degli ispiratori sia stato Winston Churchill, piuttosto – dice – sono stati Leo Strauss, Alexis de Tocqueville e Raymond Aron. Tra i libri, Kristol cita “Losing Ground” di Charles Murray, “The spirit of liberalism” di Harvey Mansfield e “Wealth and Poverty” di George Gilder. Il primo è il saggio più completo sul fallimento dello Stato assistenziale, il secondo spiega perché i liberal si sono fatti fagocitare dalla sinistra, il terzo è un manifesto pro libera impresa. Il libro per capire la critica neocon alla società moderna, spiega Kristol, è “The closing of the american mind” di Allan Bloom.
Gli amici liberal
I neocon dentro l’Amministrazione sono pochi e, tranne Bill Luti al Pentagono, non hanno compiti operativi. Sono uomini di idee, dice Kristol. Il più noto è Paul Wolfowitz, poi ci sono Lewis Libby, capo dello staff di Cheney, Elliot Abrams, consigliere per la strategia democratica globale, Douglas Feith, il quale sta per lasciare il governo. Fuori dall’amministrazione ci sono Richard Perle e David Frum, i più politici della galassia neocon. Folto il campo degli editorialisti: il Weekly Standard, David Brooks (NYT) Charles Krauthammer (WaPost) Max Boot (LATimes) e, poi, Robert Kagan e Reuel Marc Gerecht. La maggior parte degli analisti dell’American Enterprise, da Michael Novak a Michael Ledeen, è neocon. Sul fronte liberal, i neocon hanno ottimi rapporti con il gruppo di New Republic, con il senatore democratico Joe Lieberman e con studiosi della Brookings come Michael O’Hanlon e James Steinberg, spesso firmatari di appelli bipartisan del famigerato Project for a new american century (Pnac) diretto da Gary Schmitt. “In realtà – conclude Kristol – i neocon sono davvero pochi, ma l’America è piena di cripto-neocon, gente patriottica, liberista, contraria all’estremismo di sinistra e che difende alcuni valori tradizionali come quelli familiari”. Kristol e Schmitt sono convinti che anche l’Europa sia piena di cripto-neocon, così lavorano per metterli insieme e ribaltare il luogo comune che definisce i neocon come antieuropei. A breve nascerà una specie di Pnac transatlantico, il “Comitato per un’Europa più forte”.
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