giovedì, marzo 03, 2005

Radicali e sinistra: vaghezza e ambiguità

- di William Longhi (26/2/2005, il pungolo)

Non sono maturate le condizioni sufficienti per un'intesa. Con queste scarne parole pare si sia chiusa la questione dell’alleanza alle regionali tra Radicali e Unione. Intendiamoci, abbiamo a che fare con Pannella, tutto dunque è possibile. Lo stesso monarca radicale si è infatti affrettato a confermare, già poche ore dopo la chiusura delle trattative, che il discorso non poteva considerarsi ancora del tutto archiviato. [continua a leggere cliccando su "leggi tutto!"]
Ma comunque vada a finire, a qualcosa è servito tutto questo estenuante gioco delle parti, ad aiutare la sinistra a conoscersi meglio. Si è infatti consentita l’emersione alla luce del sole dell’anima più profonda e radicata del cosiddetto ulivismo. Che di fatto non corrisponde per niente alla speranza del riformismo. L’ulivismo è una cosa, il riformismo un’altra. Ma è l’ulivismo che permea la coalizione di centrosinistra nei suoi gangli più influenti, radicati ed incisivi, che ne stabilisce gli indirizzi politici di fondo, che giudica e vincola, che classifica, accoglie ed esclude. E se qualcosa non funziona, si appella alla libertà di coscienza. Questo ulivismo si confonde furbescamente con il riformismo, vestendone i panni e comunicando all’esterno della coalizione un’identità che si vorrebbe ampiamente condivisa a sinistra, ma che in realtà è patrimonio di pochi, ma influenti personaggi dell’entourage di Prodi. I pochi legittimati a rappresentare la coalizione davanti a coloro che più pesano nelle scelte decisive, e cioè i movimenti pacifisti, i sindacati, le corporazioni protette, le gerarchie e le associazioni cattoliche. Questi pochi sono riusciti a tutelare perfettamente le rendite di posizione di cui godono a sinistra grazie alla sempre più sorprendente inerzia dei Ds.
Ora, è del tutto evidente che i pannelliani avevano sin dall’inizio intenzione di sovrapporre il piano delle regionali con quello referendario, lanciando le liste Coscioni e dando da subito visibilità al tema della fecondazione assistita. Ma in una coalizione dominata quantitativamente dalle posizioni laiche, se non laiciste in tema di diritti civili, e con articolazioni politiche interne profondamente differenziate, la posizione catto-ulivista è riuscita lo stesso a far passare l’immagine di una coalizione fin troppo coesa al suo interno per poter accogliere una truppa di liberali d’assalto. Dimostrando in tal modo a tutti (a Fassino in particolare) chi è che comanda a sinistra. Presunte incompatibilità politiche con una coalizione in realtà sbrindellata come e più del centrodestra sono state utilizzate abilmente, nonostante tutti gli sforzi profusi da Marini per dimostrare l’esatto contrario.
Lì dove la presunta coesione interna appariva più debole di fronte alle contestazioni più facili, si è lanciato in campo quell’irritante oggetto contundente rappresentato dalla scelta di campo, facendo passare per virtuoso un argomento, come l’antiberlusconismo a priori, che è pura intransigenza morale distillata, così comodo da consentire a persone del tutto differenti di simulare amore e accordo reciproco. Si è così evitato che emergesse nell’alleanza di sinistra un forte soggetto liberale, con una propria forza contrattuale, una storia di libertà e, soprattutto, un rapporto privilegiato con i Ds. Per questo i Ds sono i veri sconfitti di tutta questa faccenda.
Portano voti, forniscono classe dirigente, quadri e cultura politica, ma subiscono la visibilità, il controllo sociale e la capacità di mobilitazione del cattolicesimo militante, del sindacalismo e dei cosiddetti movimenti. Proprio ai Ds spetta ora una prova di reazione rapida. Se è vero che il riformismo non coincide affatto con l’ulivismo, ed anzi entra spesso in contraddizione con esso, è necessario che proprio il soggetto che più fatica ad assumere un’identità chiara provi a accettare la sfida radicale, provando persino a mettere a rischio la stessa Federazione, in fondo così artificiale e culturalmente gracile.
Il riformismo, nella sua inaccettabile e tremenda carica di vaghezza e ambiguità, continua a non tracciare i propri confini per paura di perdere contatto con i movimenti a sinistra e i cattolici a destra. Sarebbe invece auspicabile, perché in futuro si possa avere anche in Italia una sinistra di socialismo liberale, che non si lasci al correntone la resistenza alla Federazione.
Possono esserci ragioni moderne per sottolineare che il riformismo, se è liberale e laico, non corrisponde di certo a questo miscuglio di antiberlusconismo e clericalismo che trova nel personalismo solidale, tanto sbandierato da Parisi e prodiani sparsi, la sua presunta declinazione filosofica. Blair si definisce in Gran Bretagna un radicale di centro, e il neolaburismo ha saputo affermarsi superando il socialismo statalista e facendosi scavalcare a sinistra dai liberaldemocratici. Finché i Ds non riescono a ritrovare una proprio autonomo percorso di sviluppo dell’idea di socialismo liberale e libertario, finché non prenderanno atto che esistono molti più punti di contatti con i radicali che non con Mastella, Cossutta, Bertinotti e Castagnetti, non riusciranno ad uscire dalla loro palude. Il riscatto è possibile, ad esempio cominciando ad aiutare autonomamente le liste Radicali-Coscioni, e magari riflettendo sull’opportunità di trasformarsi in una specie di partito radicale di massa. Lasciando la Federazione appiccicata ai suoi manifesti color arancio scialbo.