venerdì, settembre 22, 2006

Assemblea generale ONU: che buffonata!

Uno (Morales, vestito come nella pubblicità della Nescafè) parla tenendo in mano una foglia di coca, l’altro (Chavez) discorre stringendo fra le mani un libro di Noam Chomsky. Il terzo (Ahmadinejad) blatera di oppressione e sfruttamento senza ricordarsi di essere a capo di una teocrazia illiberale e totalitaria. E intanto il nostro primo ministro si intrattiene privatamente con questo nazista negazionista. Come riportava sul Corriere di ieri il giornalista Maurizio Caprara “Prodi, da tempo, ritiene che con la sua capacità di influenzare gli sciiti sparsi per il Medio Oriente, di condizionare il mercato del petrolio in Iraq, il Paese di Ahmadinejad possa aprire cento fronti dannosi per l’Occidente, e che dunque per disinnescare potenziali esplosioni è meglio riconoscere all’Iran un ruolo di potenza dell’area.” A me sembra una strategia folle: scendere a patti con Ahmadinejad, accettare il suo ricatto, riconoscere l’Iran come grande potenza regionale, tutto questo non fa altro che giovare alla sua causa. E’ una realpolitik che ricorda molto lo “spirito di Monaco”: stringere accordi con un governo terribile e minaccioso sperando che muti la propria natura violenta e conquistatrice. All’Iran bisogna opporsi, in tutti i modi. L’utilizzo per scopi civili del nucleare è una frottola, il programma di arricchimento dell’uranio va bloccato al più presto: prima con sanzioni, poi utilizzando anche la carta militare (qualora le sanzioni non sortissero l’effetto desiderato). Un Iran dotato di bomba atomica sarebbe una minaccia per tutto il mondo.

mercoledì, settembre 20, 2006

Il diritto alla vita

"Ma, fra quattro mura domestiche, mentre si scodella la minestra e si versa il vino nei bicchieri, è difficile afferrare l'idea di un nemico nascosto che mira a distruggerti. Sai solo che, con la creazione di uno Stato ebraico, non è mutato un antico fatto: un ebreo non può dare per scontato e garantito il suo diritto a vivere. Altri sì (svedesi, francesi, australiani...) ma tu no. Non si vuol con questo dire che tutti gli altri vivono felici sotto il sole e un buon governo. No. Si vuol dire soltanto che gli ebrei, in quanto ebrei, non sono mai stati capaci di considerare il diritto alla vita un diritto naturale."
Saul Bellow, Gerusalemme andata e ritorno, Rizzoli, 1977

Il complotto ebraico-protestante

E così, a sentire le dichiarazioni dell'ayatollah Khamenei e del mufti di Siria, sarebbe in corso un grande complotto ordito dai perfidi ebrei spalleggiati dal grande satana protestante americano. Gli articoli critici nei confronti del Papa pubblicati dal New York Times a da USA Today, a sentire le due "autorità" musulmane, avrebbero solamente l'intento di bloccare il tentativo di dialogo in corso fra cristiani e musulmani. Il "crociato" Bush e "l'entità sionista" starebbero manovrando la stampa al fine di sabotare il rapporto fra le due religioni. Siamo o non siamo alla follia? Provo un forte imbarazzo a sapere che il mio primo ministro incontrerà a New York il nazista Ahmadinejad. Com'è è possibile dialogare (e di conseguenza legittimare) un personaggio che costantemente nega l'Olocausto e propone di cancellare dalle carte geografiche lo stato di Israele? In Europa uno storico negazionista come David Irving è finito in carcere per avere scritto e sostenuto l'inesistenza delle camere a gas. Ora, invece, il nostro Prodi (seguendo il bell'esempio di Casini) stringerà la mano e intratterrà stretti rapporti con la persona più riprovevole che oggi esista al mondo. Siamo o non siamo alla follia?

Prodi, il nuovo Fazio

Fazio cercava di preservare la cosiddetta italianità della banche puntando sul "furbetto" Fiorani, Prodi (attraverso il suo fedele scudiero Rovati) ha tentato di salvaguardare l'italianità di Telecom facendo ricorso alla Cassa depositi e prestiti... la fine che ha fatto Fazio la sappiamo, che fine farà invece Prodi?

Letteratura ebraica: Nuove tendenze oltre l'ortodossia

Donne con la parrucca; uomini, con lunghi cernecchi, avvolti magari in palandrane scure con colletto di pelliccia: abbigliamenti adatti a qualche paese russo o polacco più che al clima mediorientale. Questa popolazione del quartiere di Mea Shearim a Gerusalemme costituisce oggi una curiosità folcloristica, purché non prenda a sassate la tua automobile se entri nel quartiere di sabato, giorno di preghiera. Ma nessuno si domanda chi siano veramente queste persone, come la pensino; magari gli si affibbia, con erronea generalizzazione, la qualifica di ortodossi. Haim Be' er, con i suoi Lacci d' amore (La Giuntina, pagine 350, 15), c' introduce nella vita e nella storia degli abitanti del quartiere; ed è una vera scoperta. Be' er non è un sociologo o un giornalista; anzi è un figlio dello stesso quartiere, con un albero genealogico di rabbini, mistici e chassidim: s' è emancipato, fa lo scrittore e l' editore, è totalmente laico, ma guarda con rispetto e con un filo di nostalgia alla sua gente. Romanzo di formazione, Lacci d' amore ci narra l' educazione del protagonista, fra le storie di famiglia, che risalgono sino alla Russia zarista e ai pogrom, per giungere alle ultime guerre di autodifesa e alle intifade; spaziano in viaggi dovuti al capriccio o a qualche illusione qua e là per il Mediterraneo, magari alla ricerca delle mitiche dieci tribù d' Israele perdute; evocano le letture bibliche e talmudiche (con suggestive tracce nel linguaggio), ma anche quelle di autori moderni come Balzac, Cechov, Ibsen, Henry James e Dylan Thomas. E all' osservanza religiosa si sovrappone lentamente l' illuminismo della corrente sette-ottocentesca ebraica chiamata Haskalah. Colpisce l' assenza, nel contesto, di qualunque repressione dogmatica: la madre del protagonista si lascia andare ad affermazioni di puro ateismo, il padre è appassionato di musica sinagogale, ma non credente. Curiosa poi la gamma dei mestieri di rabbini e chassidim: lattai e produttori di lucido da scarpe, per esempio. Non si avverte una stratificazione sociale. Grandi personaggi, come una nonna analfabeta che, cinquantenne, impara da sola a leggere e scrivere, e diventa una lettrice onnivora. La nonna è anche un archivio di ricordi che sfiorano la leggenda. Racconta per esempio di un suo antenato cui appare Napoleone a cavallo durante la ritirata di Russia. L' imperatore chiede ospitalità e indicazioni sulla strada, e l' ebreo gliele fornisce, pur sapendo quanto rischia aiutando l' invasore. Nel commiato, i due si scambiano i mantelli: quello del povero ebreo coprirà, mimetizzandolo, il monarca, mentre quello, superbo, di Napoleone viene conservato con riverenza, e diventerà alla fine una copertura per arredi sacri. La nonna tiene su un tavolino le foto di tutti i figli e di altri familiari, spostandole di continuo, secondo i suoi momentanei risentimenti; la sera, davanti a una tisana che spande i suoi effluvi, comincia a inseguire i ricordi, e pare che profetizzi. Anche la mamma s' è fatta una cultura frequentando le scuole serali e per corrispondenza, ma è pure lei una biblioteca vivente; è poi portatrice di idee socialiste, maturate nella sua breve carriera di lavoratrice. Ma, frustrata dalle disgrazie e da due matrimoni infelici, guarda alle persone e alle idee con un acume sconsolato, che si trasmette al figlio, liberandolo da qualsiasi fanatismo e spingendolo a ragionare solo con la sua testa. La mamma parla pure attraverso gli oggetti, i pochi salvati da una vita di stenti, dando loro riflessi e simbolismi. Un giorno, mostrando al figlio un braccialetto d' oro conservato nella bambagia, gli dice: «L' oro può essere sempre riciclato ( ). Gli esseri umani invece sono monouso, come il batuffolo di cotone che si usa per togliere il pus». In un ambiente simile, il protagonista era destinato a diventare scrittore, s' intende dopo aver intensamente frequentato la biblioteca circolante e poi quelle più grandi e poi l' università e i letterati. È la vittoria della madre, una compensazione per i suoi dolori. Essa confesserà di aver tutelato il tempo libero del figlio per dargli modo di scrivere a volontà e per «liberarlo dei lacci della fede». Del resto, il loro rapporto fortemente, quasi morbosamente edipico, è proprio un modo di continuare una vita nell' altra, di portare un sogno alla realizzazione. Alla fine, quando il protagonista ha pronto il suo primo libro, e si angustia per il timore che la madre consideri violati i propri segreti e quelli della famiglia, scopre invece che essa è felice di vedersi espressa e giustificata. E allora comprendiamo che il protagonista e lo scrittore sono una stessa persona, che il libro che mostra alla madre è quello che noi leggiamo, che la memoria, cui egli si appella spesso, è la memoria sua e dei suoi. E il fascino di tempi e luoghi da ricordare ancora una volta potrebbe continuare ad agire, se non fosse per la consapevolezza che «quella vita, di cui voleva restaurare la freschezza e lo splendore originale, era già morta, annegata nel nulla, scomparsa». Più si facevano palpabili gli ultimi residui, le ultime immagini della memoria, «più palpabile e certa diventava la morte, la nostra signora, la cui ombra si proietta sul narratore fin dall' inizio, e il cui regno si estende su ogni cosa, tanto grande è la sua audacia e il suo potere».
Cesare Segre - Corriere della Sera